Si chiamano Muhammasheen, un’etnia antica come la storia del Paese. Da sempre occupano l’ultimo gradino della scala sociale e la guerra nello Yemen ha drammaticamente peggiorato le loro condizioni di vita.
In ogni guerra c’è sempre un gruppo di esseri umani che alla tragedia paga un prezzo più alto degli altri. Nella guerra dimenticata dello Yemen, che ormai prosegue da più di un anno, questo triste primato tocca ai Muhammasheen. Sono i membri di un gruppo etnico dalla pelle scura, da secoli confinati al fondo della scala sociale yemenita e da sempre vittime di discriminazione e razzismo.
“Vivono in baraccopoli alla periferia delle città, spesso sono rifiutati dalle scuole, fanno solo i lavori più umili. Gli altri yemeniti li chiamano akhadam, servi. A parlare è Yahia Said, responsabile di un’organizzazione yemenita contro la discriminazione. L’associazione realizza anche progetti a favore dei Muhammasheen, Said è a Beirut per cercare fondi per le attività dell’associazione e cercare di far uscire dal limbo del silenzio la tragedia di questa antica comunità.
“Gli yemeniti li chiamano anche impuri, e raccomandano ai loro figli di non mescolarsi con loro. Un detto popolare recita: pulisci il piatto se lo tocca un cane, ma rompilo se lo tocca un akhadam.”
Le origini del Muhammasheen non sono chiare. Secondo la tradizione sono i discendenti dei soldati etiopi che invasero lo Yemen nel VI secolo. Altre fonti li fanno risalire ai popoli africani, primi a insediarsi lungo le coste del Paese.
In un paese dove la struttura sociale trova nell’appartenenza a una tribù un elemento fondamentale per garantire protezione e sostentamento, i Muhammasheen, che secondo le stime di UNICEF sono circa tre milioni il 10% della popolazione, sono senza tribù e sono dimenticati dal governo.
Di conseguenza, sono colpiti duramente dalla guerra civile, che contrappone il governo, sostenuto da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, ai ribelli sciiti Houthi e le forze fedeli al deposto presidente. I loro poveri insediamenti sono stati bombardate sia dai raid aerei della coalizione sia dai mortai degli Houthi.
“Noi siamo nudi. Non abbiamo nulla e anche la maggioranza delle associazioni umanitarie yemenite ci ignorano.” Ha detto Ammad Hussna, che accompagna Said. Racconta che la sua casa, anzi la sua capanna dice, alla periferia di Taiz è stata distrutta durante un bombardamento. “Ho perso tutto, anche la mia cassetta da lustrascarpe, il mio solo mezzo di sopravvivenza.” Dopo il raid tutta la loro comunità, più di 200 famiglie, è fuggita ad Al-Rahda. Pochi giorni più tardi sono dovuti fuggire di nuovo, per scampare ai nuovi attacchi aerei dei sauditi.
In poco più di un anno di guerra almeno 9.000 civili sono morti e circa 2,5 milioni sono gli sfollati e i profughi. “Non è possibile stabilire con precisione quante sono le vittime trai Muhammasheen – dice ancora Yahia Said – perché nessuno si occupa di loro. Noi siamo riusciti a documentare più di 300 morti, tra cui 68 bambini e 56 donne, ma il numero reale è probabilmente più alto.”
Anche prima della guerra la vita quotidiana per i Muhammasheen era drammatica. Yahia Said racconta come spesso scuole e ospedali li rifiutano, di come le donne della comunità sono più vulnerabile agli abusi sessuali da parte degli yemeniti. “Se, invece, è un Muhammasheen ad avere una relazione con una donna yemenita tutto il suo villaggio può essere costretto ad abbandonare la zona.”
I figli degli emarginati che sfidano lo stigma sociale e frequentano le scuole spesso devono affrontare le molestie da parte degli insegnanti e dei compagni.
Nel 2014 l’UNICEF aveva condotto un’indagine su oltre 9.000 famiglie di emarginati, nella città di Taiz, dove si trova una delle loro comunità più grandi. Risultarono alti livelli di povertà e bassi livelli d’istruzione, di gran lunga peggiori rispetto alle medie nazionali. Solo la metà dei bambini frequentava la scuola, l’80% degli adulti e quasi il 52% dei bambini tra i 10 e i 14 anni erano analfabeti. Più della metà dei bambini al di sotto di un anno non era vaccinato.
Buthaina al-Iryani, responsabile della protezione sociale per UNICEF, ha detto che l’Agenzia distribuisce denaro alle famiglie a Sanaa e a Taiz per affrontare i bisogni più urgenti. “Questa già prima della guerra era solo una goccia nel mare. Oggi l’accattonaggio è diventata la loro unica fonte di reddito.”
“La situazione umanitaria è drammatica – ha detto Noaman Houzifi, responsabile dell’Unione Nazionale dei Muhammasheen – gli altri hanno la tribù che può aiutarli o ospitarli, noi non abbiamo nulla.” Houzifi accusa molte associazioni umanitarie di ignorare il dramma dei Muhammasheen e di non fornire alla loro comunità nessun aiuto.
“Negli ospedali i nostri feriti sono curati per ultimi o addirittura per nulla. Sono lasciati morire come animali. Ma anche gli animali hanno dei diritti.”