La Patagonia, nella sua steppa e nei suoi boschi, sconfinata tra oceano e Ande, tra ghiacci eterni e coltivazioni di frutta, ha sempre accolto tutti, ieri e oggi: esploratori e rifugiati religiosi, anarchici e agricoltori, turisti e solitari.
Con la fine dell’anno è estate nella terra alla fine del mondo. Ci è arrivato in un suo angolo esclusivo il presidente argentino, Mauricio Macri, per riprendersi da un anno molto difficile. Dal suo impero alberghiero patagonico si sposta invece poco l’ex presidente, Cristina Kirchner, che a fine dicembre è stata rimandata a giudizio per gravi reati di corruzione. In Patagonia è andato a tentare di “superare il suo trauma” un trentenne di origine cilena rimasto sequestrato nell’attacco terroristico al Bataclan a Parigi.
La forza guaritrice della Patagonia sta nell’unione tra la sua “nientitudine” e l’imponenza dei suoi orizzonti. Anche ora d’estate quando i turisti affollano gli angoli più spettacolari dei 12 parchi nazionali c’è sempre un altro angolo o un’altra immensità che ciascuno può considerare la propria Patagonia, nel bene e nel male. Per le comunità originarie ciò è stata una maledizione. Oggi molte sono sterminate e quelle sopravvissute, i mapuche verso la cordigliera e i tehuelche nel sud e sulla costa atlantica, sono povere.
Proprio in zona tehuelche, la regione colonizzata da gallesi, c’è il km Zero della famosa Ruta 40 che attraversa tutta la Patagonia per più di 3500 km. A Cabo Vírgenes, nella punta doppiata nel 1579 dal pirata Francis Drake, c’è ancora la seconda più grande colonia di pinguini del Sudamerica.
A sud c’è solo Tierra del Fuego con Ushuaia, la città più a sud del mondo, sul canale di Beagle di fronte a Capo Horn. È stata fondata solo nel 1884 da 300 missionari anglicani che volvano evangelizzare gli yámama. Da qualche settimana ha avuto il suo primo semaforo per pedoni, anche se è il porto più vicino all’Antartide e la città base turistica per i monti di Tierra del Fuego dove d’inverno si allenano gli sciatori olimpionici e d’estate si girano i laghi in canoa.
Dall’Atlantico la Ruta 40 va a ovest alla frontiera con il Cile e tocca le Torri del Paine, appena dall’altra parte della frontiera. “È un luogo tra i più selvaggi e grandiosi. Foreste, laghi, fiumi, cascate, costituiscono il piedestallo di questo fantastico castello e torri con muraglioni giganteschi di ghiaccio”, nella descrizione di padre Alberto de Agostini, uno degli ultimi esploratori tra i 1920-1940 che cercava una vetta alta per avere una visione panoramica.
Continuando a nord per altri 200 km si entra nel Parco Nazionale dei Ghiacciai, uno dei vari Patrimoni dell’Umanità della Patagonia. Tra i suoi 47 ghiacciai che continuano a crescere c’è il Perito Moreno con il suo fronte di ghiaccio sul lago lungo 5 km. A intervalli cede blocchi di ghiaccio alti 60-70 m. Qui è bene essere solo un turista, perché ghiacci della Patagonia, si dice, non rende gli uomini che vi si perdono.
Il gruppo montagnoso più complesso e imponente di tutta la Cordigliera sta altri 200 km a nord. I lati del Cerro Torre e del Fitz Roy sono talmente ripidi da sembrare che sfidino la stessa natura. Nei decenni sono stati una calamita per gli scalatori più coraggiosi. Nel Cerro Torre è ambientato il film di Werner Herzog, Grido di pietra, sul tragico assalto al “fungo” terminale di ghiaccio da parte di due alpinisti secondo una storia ideata da Reinhold Messner. Il Fitz Roy ha il nome dal viceammiraglio inglese incaricato di tracciare la rotta del Canale di Beagle e comandante della nave che portò Charles Darwin intorno al mondo e in Patagonia nel 1832.
Dei primi abitanti di 20.000 anni prima, si trova una testimonianza altri 600 km più a nord in una caverna anch’essa Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco: la Cueva de las Manos con la pittura rupestre di tante mani sui toni ocra e rossastri.
Nonostante le enormi distanze, la Cueva de las Manos è un esempio di come lo spazio agreste e senza recinzioni, il vero spirito della Patagonia, si scontri sempre di più con i dettami dell’economia “del Nord”. Proprio all’ingresso di quello che sarà il Parque Nacional Patagonia, la Patagonia Gold ha avuto il permesso per aprire una miniera a cielo aperto che causerebbe danni irreversibili ai giacimenti archeologici dell’area e a un paesaggio unico.
La Patagonia è stata generosa anche nell’accogliere banditi, tra cui i famosi Butch Cassidy e Sundance Kid. La casa di legno su terre comprate c’è ancora, sulla Ruta 40 dopo altri 600 km verso nord su strade di terra e pietrisco allora come oggi spazzate da raffiche di vento che possono arrivare a 130 km l’ora.
Meulén, il vento, è uno dei quattro elementi della cosmovisione mapuche, secondo la quale “La Terra”, che era di nessuno, cioè loro, la notte si fondeva nel silenzio con il cielo. Ed è ancora così per i visitatori e gli abitanti, ma la terra non è più loro. Bistrattati e sfruttati per secoli, oggi i mapuche e pochi tehuelche vivono distanti dalle autorità con le quali spesso si scontrano. Gestiscono campeggi o lavorano nelle estancias i cui proprietari arrivano in aerei privati. Qualche volta li si vede cavalcare o spostarsi a piedi lungo le stesse strade percorse dai 4×4 dei turisti, loro, il cavallo, il sentiero e il cielo una dimensione spazio-temporale che chi viene da fuori può afferrare solo in parte.
Per evitare i turisti si potrebbe visitare la Patagonia in primavera, quando i prati andini diventano tutto un fiore, ma il vento può essere altrettanto forte di quello estivo.
Non aveva paura del vento Antoine de Saint Exupéry, l’autore de Il piccolo principe, arrivato in Patagonia nel 1929 per fondare e pilotare gli aerei di Aeroposta Argentina. In Volo di notte racconta i voli verso Tierra del Fuego. Un giorno riuscì, racconta, a vedere il Pacifico dal picco Torino. “Che bel paese e com’è straordinaria la cordigliera delle Ande! Mi sono trovato a 6500 m di altitudine dove nasceva una tempesta di neve. Le cime lanciavano neve come fossero vulcani e mi sembrò che tutta la montagna cominciasse a ribollire…”.
Quando un suo amico vi restò disperso Saint Exupéry lo cercò “scivolando tra i muri dei pilastri giganti delle Ande. Mi sembrava di non cercarti più ma di vegliare il tuo corpo in silenzio, in una cattedrale di neve…”. Incredibilmente dopo cinque giorni lo trovarono sano e salvo.
I ghiacci, le montagne e le pianure della Patagonia hanno generato una quantità di storie simili, quasi che la Patagonia non abbia una storia, ma solo storie. Come quella dell’anarchico Errico Malatesta che, esule, nel 1887 vi andò a cercare l’oro e aiutò a fondare il primo sindacato argentino.
Bisogna percorrere altri 300 km verso nord per avvicinarsi alla storia più recente nella spettacolare regione dei Siete Lagos, dove nelle case di stile alpino di Bariloche e dintorni si nascosero diversi gerarchi nazisti in fuga. Qua rimase prigioniera dei militari dopo il golpe del 1976 la seconda moglie di Perón, Isabelita, per sette mesi.
C’è storia vecchia e recente anche sulla costa atlantica, a quasi 1000 km verso est attraverso la meseta delicata e infinita — vasta quanto Francia, Penisola Iberica, Italia e Svizzera insieme – e popolata da nandù e cervi. L’entroterra delle imponenti scogliere dove oggi le colonie di elefanti marini lottano contro l’inquinamento dell’oceano, fu negli anni ’20 il teatro degli scioperi dei braccianti repressi con massacri e fucilazioni, passati alla storia come la Patagonia Tragica. Poco a sud c’è Trelew, il cui carcere fu uno dei più terribili delle dittature militari.
La Patagonia è fragile. Fino a qualche decennio fa si era protetta mettendo a dura prova che vi arrivava. Oggi non ha più quest’arma. Il turismo, una delle sue più grandi risorse, non è quello che la minaccia di più preoccupa l’inquinamento dei pozzi petroliferi, delle miniere e degli scarichi civili in fiumi cristallini e la svendita di centinaia di migliaia di ettari di terra a stranieri a prezzi irrisori e senza controllo. Il 5% della Patagonia è ormai in mano straniera e molte di quelle terre includono risorse idriche, naturali e culturali. La famiglia Benetton possiede 900.000 ha, ma è apprezzata per l’opera della sua Fondazione. Il miliardario britannico Joe Lewis, ex proprietario di Hard Rock Café, invece, è oggetto di numerose cause legali perché ha comprato tutte le terre che circondano uno dei più bei laghi della zona, Lago Escondido, e vi ha costruito un aeroporto privato più grande di quello commerciale della regione. Chi protesta per la “Patagonia vendida” critica anche una legge recente di Macri che per favorire gli investimenti rischia di semplificare ulteriormente l’acquisto indiscriminato di terre in Patagonia.
Il “nada” (niente) patagonico è più ambito e vulnerabile che mai, ma continua offrire a tutti la possibilità di trovarvi la propria Patagonia.
Potrebbe essere stato questo spazio, concordano in molti, a ispirare a Saint Exupéry il personaggio de Il piccolo principe, perché in Patagonia, ancora oggi, ci si può addormentare il sentire la solitudine tra polvere, pecore e volpi a centinaia di kilometri da qualsiasi luogo abitato.
@GuiomarParada