Lo studente egiziano è detenuto da oltre un anno con l’accusa di propaganda sovversiva su Internet. Secondo Amnesty, rischia fino a 25 anni di carcere
Niente da fare per Patrick Zaki. Altri 45 giorni di carcere aspettano il giovane studente egiziano, detenuto da oltre un anno nella prigione di Tora, con l’accusa di propaganda sovversiva su Internet. Il timore è che il regime di al-Sisi aspetti il febbraio del 2022, cioè quando scadranno i due anni previsti dalla legge egiziana per le detenzioni cautelari, prima di rilasciarlo. Tra pochi giorni, il 16 giugno, Patrick Zaki compirà 30 anni, un compleanno che passerà in cella, come quello precedente.
Prima del suo arresto studiava all’Università di Bologna. Era tornato in Egitto per una breve vacanza nella sua città natale, Mansoura, e da allora non è mai più tornato in Italia. Le accuse nei suoi confronti sono di aver pubblicato notizie false e di aver incoraggiato le proteste contro l’autorità pubblica, anche per provocare il rovesciamento dello Stato egiziano. Secondo Amnesty, Zaki rischia fino a 25 anni di carcere. In base ai dati di Arabic Network for Human Rights Information, nelle prigioni egiziane sono trattenuti circa 65mila prigionieri politici: esponenti di gruppi di opposizione, giornalisti, avvocati, studenti e anche semplici cittadini rei di aver criticato il Governo. In Egitto chi critica l’operato del Governo è punibile con una reclusione da sei mesi a cinque anni. Lo scorso anno l’Agenzia per la sicurezza nazionale ha arrestato almeno 10 operatori sanitari solo per aver criticato la risposta dell’autorità sanitaria al Covid. Per contenere un così alto numero di persone, l’amministrazione egiziana ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie.
La prigione dove è rinchiuso Zaki è una delle peggiori. Secondo Human Rights Watch, i detenuti vivono in spazi angusti senza letto né materasso, con privazioni di cibo e medicine e l’epidemia di Covid-19 ha esacerbato le già terribili condizioni di detenzione. Alcuni prigionieri, soprattutto quelli ospitati nella sezione Scorpione, vengono torturati, violentati, picchiati e alle volte trovano la morte in carcere. Di un migliaio di prigionieri si sono perse le tracce, nessuno sa dove si trovino.
“È stato progettato in modo che coloro che entrano non escano di nuovo a meno che non siano morti”, ha dichiarato durante un’intervista televisiva un militare che ha lavorato nella prigione. Il caso Zaki è inserito nel programma di trial monitoring dell’Ue.
Nelle intenzioni europee questo dovrebbe mandare alla giustizia egiziana il segnale che queste udienze sono oggetto di attenzione internazionale; in realtà, a oggi il Governo egiziano non sembra aver preso molto sul serio le preoccupazioni europee. Intanto continua ad allungarsi la lista dei firmatari della petizione lanciata a gennaio su Change.org, per conferire a Zaki la cittadinanza italiana. Ad aprile la campagna è arrivata in Senato, dove la mozione è stata approvata con il voto unanime della maggioranza.
Niente da fare per Patrick Zaki. Altri 45 giorni di carcere aspettano il giovane studente egiziano, detenuto da oltre un anno nella prigione di Tora, con l’accusa di propaganda sovversiva su Internet. Il timore è che il regime di al-Sisi aspetti il febbraio del 2022, cioè quando scadranno i due anni previsti dalla legge egiziana per le detenzioni cautelari, prima di rilasciarlo. Tra pochi giorni, il 16 giugno, Patrick Zaki compirà 30 anni, un compleanno che passerà in cella, come quello precedente.
Prima del suo arresto studiava all’Università di Bologna. Era tornato in Egitto per una breve vacanza nella sua città natale, Mansoura, e da allora non è mai più tornato in Italia. Le accuse nei suoi confronti sono di aver pubblicato notizie false e di aver incoraggiato le proteste contro l’autorità pubblica, anche per provocare il rovesciamento dello Stato egiziano. Secondo Amnesty, Zaki rischia fino a 25 anni di carcere. In base ai dati di Arabic Network for Human Rights Information, nelle prigioni egiziane sono trattenuti circa 65mila prigionieri politici: esponenti di gruppi di opposizione, giornalisti, avvocati, studenti e anche semplici cittadini rei di aver criticato il Governo. In Egitto chi critica l’operato del Governo è punibile con una reclusione da sei mesi a cinque anni. Lo scorso anno l’Agenzia per la sicurezza nazionale ha arrestato almeno 10 operatori sanitari solo per aver criticato la risposta dell’autorità sanitaria al Covid. Per contenere un così alto numero di persone, l’amministrazione egiziana ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie.
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