Le accuse di essere un uomo di Putin, la collaborazione con Yanukovich, il sospetto di aver preso milioni sottobanco e aver organizzato le proteste anti Nato in Ucraina. Alla fine lo spin doctor di Trump ha mollato.
Paul Manafort non ce l’ha fatta a resistere alle accuse e ha gettato la spugna. Il regista della campagna elettorale di Donald Trump era chiacchierato da tempo per la sua abitudine a offrire i suoi servigi a dittatori, autocrati e cleptocrati. Un uomo che può vantare nel suo portfolio clienti il dittatore congolese Mobutu Sese Seko, quello delle Filippine, Ferdinand Marcos, e l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich (che dittatore non era, ma guidava una cleptocrazia senza eguali). A costringere Manafort a dimettersi dall’incarico, però, non sono stati i dubbi sui suoi legami con Yanukovich, oggi rifugiato in Russia, ma le accuse di aver preso soldi in nero proprio nel suo «periodo ucraino», un argomento a cui gli elettori americani sono particolarmente sensibili. Tanto che l’Fbi ha inserito il suo nome in una più ampia indagine sui legami tra aziende americane e il sistema corrotto di Yanukovich.
Le sue dimissioni, però, non cancellano i dubbi sulla sua scelta da parte di Trump come consulente.
Il più stretto consigliere di Yanukovich
Lo scandalo dei pagamenti in nero è arrivato proprio da Kiev. Il Times di Londra è entrato in possesso di una dozzina di note contabili, che sarebbero state tenute da incaricati dell’estinto partito delle Regioni di Yanukovich, in cui si citano pagamenti in contanti a Manafort per 7,6 milioni di dollari. Ma fonti del nuovo Ufficio anticorruzione di Kiev citate da Max Tucker, autore dello scoop, hanno fatto sapere di essere in possesso di altre dieci note che portano il totale delle somme che Manafort avrebbe ricevuto a 12,5 milioni di dollari.
Secondo gli investigatori ucraini, le somme arrivavano da un fondo nero usato da Yanukovich per pagare giudici, membri della commissione elettorale, politici e giornalisti, fino alla cifra record di due miliardi di dollari.
Le date dei pagamenti vanno dal 2009 al 2012, quando lo spin doctor ha assistito prima Yanukovich nella corsa alle presidenziali e poi lo ha affiancato come consulente. Manafort ha negato sia di aver preso quei soldi, che di aver mai lavorato per il governo ucraino. Un’affermazione smentita da molte testimonianze, come quella dell’ex capo dell’amministrazione presidenziale di Yanukovich, Andrei Portonov, che riferisce di «molti incontri, a Kiev e Washington. Manafort era saggio, convincente e molto esperto». Ed è qui che vengono fuori le questioni più scottanti.
Secondo le fonti citate dal Times, infatti, Manafort è stato qualcosa di più di un semplice consulente per la campagna elettorale di Yanukovich. Andrers Åslund, collaboratore dell’ex presidente Leonid Kuchma, lo ha definito «il più stretto consigliere si Yanukovich». Manafort sarebbe rimasto al fianco dell’ex presidente fino alla fine, prendendo parte alle riunioni di sicurezza nella «sala operativa antirivoluzione» nei giorni finali del Maidan. Ossia, avrebbe in qualche modo preso parte alle scelte reazionarie di Yanukovich contro la piazza, o quantomeno vi avrebbe assistito, presumibilmente gomito a gomito con gli emissari di Mosca che in quei giorni pilotavano la politica ucraina.
Azzerare la rivoluzione arancione
Non basta. Perché secondo quanto riferito sempre al Times da un procuratore che sta indagando sull’ex partito delle Regioni, ora messo fuorilegge come organizzazione criminale, già nel 2006 Manafort aveva aiutato Yanukovich ad organizzare delle manifestazioni anti Nato e anti Kiev in Crimea. Era stato chiamato da appena un anno in Ucraina da Rinat Akhmetov, l’oligarca «signore» di Donetsk e principale finanziatore di Yanukovich, proprio per spingere il suo candidato reduce dalla sonora sconfitta alle presidenziali contro Viktor Yushchenko. E in cinque anni è riuscito a portarlo alla presidenza, capendo la forza della divisione dell’elettorato ucraino e facendo leva sulla polarizzazione culturale del Paese.
Manafort, in sostanza, è l’uomo che ha azzerato la Rivoluzione arancione e riportato l’Ucraina nelle mani di Putin. Che consigliava a Yanukovich di denunciare inesistenti pericoli per la popolazione russofona, che animava i moti antioccidentali in Crimea. Il principale artefice del sistema cleptocratico di Yanukovich. L’uomo che consigliava il presidente nei giorni della sanguinosa repressione del Maidan.
E non è finita ancora, perché anche dopo la fuga di Yanukovich in Russia, ancora nel settembre 2014, Manafort era sul libro paga dell’ex capo dell’amministrazione presidenziale, Serhy Liovochkin, per risollevare il morente partito delle Regioni. Secondo il New York Times sarebbe lui l’ideatore del cambio di nome in Blocco dell’opposizione.
Bastano le sue dimissioni per sciogliere i timori sulla politica russa di Trump nel caso in cui fosse eletto?
@daniloeliatweet
Le accuse di essere un uomo di Putin, la collaborazione con Yanukovich, il sospetto di aver preso milioni sottobanco e aver organizzato le proteste anti Nato in Ucraina. Alla fine lo spin doctor di Trump ha mollato.
Paul Manafort non ce l’ha fatta a resistere alle accuse e ha gettato la spugna. Il regista della campagna elettorale di Donald Trump era chiacchierato da tempo per la sua abitudine a offrire i suoi servigi a dittatori, autocrati e cleptocrati. Un uomo che può vantare nel suo portfolio clienti il dittatore congolese Mobutu Sese Seko, quello delle Filippine, Ferdinand Marcos, e l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich (che dittatore non era, ma guidava una cleptocrazia senza eguali). A costringere Manafort a dimettersi dall’incarico, però, non sono stati i dubbi sui suoi legami con Yanukovich, oggi rifugiato in Russia, ma le accuse di aver preso soldi in nero proprio nel suo «periodo ucraino», un argomento a cui gli elettori americani sono particolarmente sensibili. Tanto che l’Fbi ha inserito il suo nome in una più ampia indagine sui legami tra aziende americane e il sistema corrotto di Yanukovich.