A meno di un mese dal voto a New Delhi serpeggia un senso di timore che nessuno sia in grado di ostacolare l’ascesa di Narendra Modi. Un rischio che per buona parte della popolazione “istruita” (passatemi la discriminante, non mi viene altro termine meno divisivo) sembra ormai inevitabile.

Sono in India da troppo poco tempo per poter avere davvero un’idea ponderata di che aria tiri in questo periodo pre elettorale, ma parlando con un po’ di giovani residenti – stranieri e indiani – l’impressione è che buona parte della popolazione che ha a cuore i diritti civili, la laicità dello stato e la libertà d’espressione si stia già preparando alla sconfitta, a cinque anni di reggenza autoritaria e oscurantista sotto il segno del Bharatiya Janata Party (Bjp) guidato dal chief minister del Gujarat.
Come ripetuto spesso in questi spazi, occorre fare molta attenzione all’effetto mediatico di Narendra Modi, dato per grande favorito dalla classe medio alta indiana che però, dati alla mano, copre poco più del 20 per cento della popolazione totale. La grande incognita, come al solito, è rappresentata dalle preferenze di voto nelle campagne, dove anche i criteri di selezione del candidato sono da rapportare alle necessità locali.
Un’amica attiva presso una Ong con sedi nel Rajasthan rurale mi ha raccontato che tra la popolazione locale alle ultime elezioni dello stato molti hanno votato Bjp perchè “sotto il Congress le strade asfaltate facevano schifo, magari loro le metteranno a posto”. Un ragionamento legittimo e lineare comune a varie zone dell’Unione indiana che andrà a pesare enormemente di più rispetto alle alltrettanto legittime e lineari elucubrazioni delle classi istruite, rappresentate dall’India delle metropoli, preoccupate dalla possibile politica internazionale aggressiva di un’India anti islamica con Modi (col conto aperto pakistano appena oltre i confini), di un’India ulteriormente repressiva all’interno dei propri confini, con un giro di vite alla libertà d’espressione e un rallentamento nel processo di maggiore tutela dei diritti civili (delle donne, degli omosessuali, delle minoranze etniche) e dell’ambiente.
Modi piace perchè è un uomo forte che propone la realizzazione dei sogni della classe media: diventare ricchi, fare soldi, accumulare “la roba”, fare dell’India un Grande Paese a livello internazionale. Un obiettivo che NaMo vorrebbe raggiungere implementando su scala nazionale il “modello Gujarat” di sviluppo, un turbocapitalismo di stampo autoritario dove le ragioni del Pil e del profitto sovrastano quelle della solidarietà e della diffusione del benessere.
Abusando di una frase trita e ritrita, il Vibrant Gujarat di Modi è stato uno degli stati a più alta crescita (con picchi vicini al 10 per cento) ma anche dove i ricchi sono diventati sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Il rischio di un’India sotto Modi è quindi quello di un maggiore allargamento della forbice sociale, ora che l’imperativo per il paese sarebbe invece livellare le differenze, investire nell’istruzione, formare una generazione di giovani indiani (più della metà della popolazione totale ora ha meno di 25 anni) più istruita che abbia gli strumenti e le opportunità per vivere un’esistenza migliore dei propri genitori.
La scelta tra Modi e il Congress, superficialmente, è riassumibile come segue: se si pensa che il Pil possa trainare fuori dall’indigenza la popolazione indigente (70 per cento del totale), allora si vota per Modi, seppur in Gujarat questo fenomeno non si sia verificato, poiché lo stato sulla carta è più ricco ma i livelli di denutrizione, analfabetismo e disoccupazione non sono diminuiti come si sarebbe invece auspicato; se si pensa invece che la priorità sia aiutare i più poveri con la mano dello Stato e costruie una parvenza di stato sociale diffuso che possa essere il trampolino di lancio per l’economia, allora si vota Congress, anche se nemmeno il Congress è riuscito pienamente in questo aspetto negli ultimi anni. Questo fermandosi ad una valutazione di modello economico.
Su diritti civili e presupposti di convivenza armoniosa tra caste, gruppi etnici e religioni diverse, il Bjp ha una tradizione decisamente opposta: anti musulmano, populista e bigotto, è appoggiato e controllato dalle frange più estremiste della destra nazionale, quelle descritte qualche tempo fa come i fascisti indiani. Non che il resto delle formazioni politiche brilli per progressismo, ma il Bjp sarebbe senza dubbio la scelta più oscurantista e polarizzante alle prossime elezioni.
L’ago della bilancia saranno le alleanze coi partiti locali, il che mi fa sperare – forse peccando di naïveté – che l’ego strabordante di Modi e le istanze portate avanti dal suo partito rendano virtualmente impossibile degli accordi coi leader locali più “pesanti” (Mulayam Singh Yadav in Uttar Pradesh, Mamata Banerjee in Bengala occidentale, Jayalalithaa in Tamil Nadu), facendo fermare la coalizione di Modi molto prima di quei 272 seggi necessari a formare un governo.
Il Congress è storicamente un partito col quale si può discutere di più, più elastico nello stringere e sciogliere alleanze “di comodo”.
La tensione comunque è realmente palpabile, sempre arginando il campo d’osservazione alla Delhi benestante e “di sinistra”, diremmo noi: hanno davvero paura.