La Spagna è stata il primo Paese a sbarrare le frontiere ai migranti, poi seguita come “modello” dagli altri Paesi europei per le politiche di blocco ora attuate anche altrove, dalla militarizzazione dei confini agli accordi con Paesi sull’altra sponda e l’esternalizzazione della frontiere. Oggi però la rotta nel Mediterraneo occidentale vede un forte incremento dei flussi.
Calano le partenze via mare di migranti diretti in Italia, aumentano i passaggi sullo Stretto di Gibilterra per raggiungere la Spagna. É l’estrema sintesi dell’andamento dei flussi migratori verso l’Europa. Probabile conseguenza dalla guerra civile in Libia, e del confronto avviato con il presidente Fayez al-Serraj e con i sindaci dei territori del Fezzan, nel Sud del Paese, incontrati a più riprese dal ministro dell’Interno Marco Minniti.
I crescenti controlli costieri, la necessità di bypassare il caos libico e i suoi centri di reclusione, sembra stiano spingendo centinaia di migranti sulla Via del Mediterraneo occidentale, che dalle coste del Maghreb punta alla Penisola iberica. Secondo l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM), trafficanti e migranti cercano alternative più sicure, sia via terra sia via mare.
Il risultato è un calo deciso degli arrivi in Italia tra luglio e agosto, cui si contrappone una netta crescita dei passaggi verso la Spagna. Malgrado il campione disponibile copra un arco temporale appena sufficiente, è interessante dare uno sguardo ai dati e iniziare a conoscere una rotta, quella occidentale, che incarna il modello originario delle politiche migratorie europee.
Meno arrivi in Italia
Prendendo in esame il periodo di picco degli attraversamenti via mare, maggio-agosto, i numeri degli sbarchi rivelano una netta controtendenza in Italia nell’ultimo bimestre. Le cifre sono quelle diffuse dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) che a maggio ha registrato l’arrivo di 23.016 persone (15,33% in più rispetto allo stesso periodo del 2016, quando gli sbarchi furono 19.957), seguite da 23.524 a giugno (+5,3% vs 2016, 22.339 arrivi). La prima vera flessione riguarda luglio, con 11.461 passaggi, 51,28% in meno rispetto al mese precedente. Tendenza confermata ad agosto con 3.813 arrivi, -66,73% su luglio. Lo scenario di un deciso ridimensionamento dei passaggi nell’ultimo bimestre trova conferma anche in relazione ai numeri del 2016: -51,34% gli arrivi via mare a luglio (11.461 nel 2017 vs 23.552 nel 2016); -82,09% ad agosto (3.813 vs 21.294). Dal primo gennaio al 31 agosto 2017, la flessione rispetto allo stesso periodo del 2016 è del 13,91%.
Assieme agli sbarchi scende anche il numero delle vittime, ma l’indice di mortalità è il peggiore di sempre. Sono 2.410 le persone che hanno perso la vita da gennaio al 25 agosto, a fronte di 120.975 arrivi. La Via del Mediterraneo centrale, quella che punta al Sud Italia rimane la più pericolosa, con un tasso di mortalità maggiore (2,37%) rispetto a quello registrato sulle acque dello Stretto di Gibilterra (1,43%). Mettendo assieme l’indice dell’Egeo (0,32%), risulta che il tasso di mortalità del Mediterraneo nel 2017 sfiora il 2%, quindi peggio rispetto all’1,4% del 2016, anno nero per numero di vittime.
Verso Gibilterra
Come visto, il ridimensionamento dei passaggi sulla Via del Mediterraneo centrale non deriva da una riduzione del numero dei migranti. La massa di uomini, donne e bambini diretti in Europa cresce, pertanto cerca altre soluzioni. Il deal UE-Ankara tiene, anche se i passaggi sull’Egeo verso le isole greche sono aumentati sensibilmente. La novità è senza dubbio l’incremento della pressione ad ovest, verso la Spagna, dove, da inizio gennaio a fine agosto sono transitati via mare 9.738 migranti, il 33,6% in più rispetto ai 7.289 dello stesso periodo dello scorso anno. A questi si sommano 3.944 arrivi via terra.
Il picco dei passaggi in Spagna si è concentrato a giugno e luglio, rispettivamente 2.688 e 2.657 passaggi. Vale a dire 162% in più a giugno rispetto ai 1.024 del 2016, e un aumento del 243% a luglio (775 l’anno precedente). Si tratta ovviamente di numeri ancora esigui, un decimo rispetto agli sbarchi italiani, ma sintomatici di quello che potrebbe essere un nuovo mutamento delle rotte migratorie, a patto che trafficanti e migranti riescano ad espugnare il fortino spagnolo.
Precedente storico
Le rotte dirette in Spagna sono due. Una parte dall’Africa Occidentale (Senegal e Mauritania) e punta alle Canarie, ma si tratta di una soluzione difficile e dispendiosa, intrapresa quest’anno da appena 113 migranti. La principale via europea dal Maghreb passa per le coste sullo Stretto, o per Ceuta e Melilla, enclavi spagnole nel nord del Marocco, isolate dal resto del continente africano tramite recinzioni, filo spinato, sensori, telecamere e percorsi per i veicoli di pattuglia.
Sebbene si tenda a localizzare sui Balcani il binomio migranti-muri, le fortificazioni di Ceuta e Melilla costituiscono il precedente storico. «In un mondo sempre più aperto, dove i confini sembrano aver perso la loro ragion d’essere, i governi trovano nel controllo degli ingressi illegali un mezzo per riaffermare la loro sovranità territoriale», commenta Alice Pannier, assistant professor di Relazioni internazionali e studi europei alla Johns Hopkins University, esperta di politiche di confine spagnole.
Realizzate a partire dagli anni Novanta a fronte di uno stanziamento UE di 30 milioni di euro, queste barriere furono la risposta alle insistenti esigenze di sicurezza interna di Madrid. Argomentazioni tali e quali a quelle riproposte tra il 2014 e il 2015 dal Primo ministro magiaro Viktor Orbàn, quando decise di «difendere i confini europei» (dall’invasione dei migranti) innalzando una recinzione verso sud, oggi lunga più di 500 chilometri. La scelta di Orbàn innescò la progressiva chiusura della Via dei Balcani, bloccata in modo definitivo a febbraio 2016, poche settimane prima della sottoscrizione del deal UE-Ankara sui migranti (18 marzo).
Le concertinas di Zapatero
Otto chilometri di barriera alta cinque metri circonda Ceuta, mentre a Melilla i chilometri di recinsione sono 12. Gli ultimi interventi di restyling risalgono al 2005, quando il governo Zapatero, simbolo del socialismo spagnolo stanziò 8,7 milioni di euro per l’installazione delle concertinas, bobine di filo spinato dotate di rasoi, a dir poco indigeste per buona parte dell’opinione pubblica iberica a causa delle ferite inferte a chi tentava la scalata. Dopo il dietrofront del segretario del Partido Socialista Obrero Español (PSOE), nel 2007 le concertinas furono rimosse, per essere riposizionate nel 2013. Impopolarità a parte, le misure adottate per proteggere lo Stretto sono effettivamente state efficaci, rendendo la via occidentale del Mediterraneo la meno affollata, soprattutto nei tempi del grande esodo innescato dalle guerre in Iraq e Siria.
Il triangolo di Tangeri
Lo scopo delle valla, le ‘recinzioni’ di Ceuta e Melilla, è di tenere all’esterno la massa di migranti che attraverso le alture del Rif, cerca di raggiungere l’Europa. Siamo nel cosiddetto Triangolo di Tangeri, principale origine della diaspora marocchina, endemicamente povero, storicamente ignorato da qualsivoglia incentivo allo sviluppo, cui si aggiunge l’isolamento politico e culturale. In un contesto simile, sopravvivere significa associarsi a gruppi criminali o partire. La terza via si è affacciata con forza nel nuovo millennio: il jihad.
Secondo il Bureau central d’investigation judiciaire (BCIJ, servizi di sicurezza marocchini), sono 1.356 i foreign fighters arruolati da al-Qaeda e dallo Stato Islamico tra il 2011 e il 2013 per combattere in Siria e Iraq. Gran parte di questi miliziani proviene proprio dall’area di Tangeri, Tetouan e Ceuta. Non stupisce quindi che qui, a ridosso delle enclavi spagnole, oltre al contrabbando e al business dei narcotici fiorisca anche il traffico di esseri umani. Il risultato è una concentrazione attorno alle enclavi di migliaia di migranti in attesa, numero ben maggiore rispetto a quello dei passaggi effettivi.
Confini in outsourcing
Il governo spagnolo detiene anche un altro primato in materia di migrazioni. È stato tra i primi in Europa a puntare sull’esternalizzazione delle frontiere per controllare gli esodi. Decisione legata all’implementazione di un sistema di controllo che trascende il territorio iberico, a partire dal monitoraggio delle acque internazionali (SIVE, Sistema Integrado de Vigilancia Exterior) e dei confini, il tutto in sintonia con i Paesi di origine e di transito. Uno degli accordi chiave è quello raggiunto con il Marocco a dicembre 2003, sottoscrivendo un’intesa sulla gestione dei migranti, coincisa con il rimpatrio di cinquemila minori non accompagnati. Un anno più tardi la Gendarmeria marocchina e la Guardia Civil spagnola hanno iniziato i pattugliamenti congiunti a Gibilterra.
In seguito, Madrid stringerà accordi anche con Senegal e Mauritania, passaggi obbligati per i migranti africani diretti sulla Via del Mediterraneo Occidentale, nonché punto di partenza delle imbarcazioni dirette alle Canarie.
Mettendo assieme le barriere fisiche, gli accordi bilaterali, il SIVE e la pratica dei respingimenti, il passaggio illegale in Spagna lungo la rotta sul Mediterraneo occidentale è stato a lungo il più difficile, quindi meno popolare. Nel conto vanno messe anche la prospettiva del carcere per chi viene colto a tentare il passaggio illegale. Poi ancora le pessime condizioni di vita per chi attende l’occasione di entrare a Ceuta e Melilla: moltissime persone vivono all’interno di grotte o in ripari di fortuna in condizioni igieniche drammatiche, nutrendosi di quanto viene loro offerto da ong e cittadini. «Ci sono considerazioni di natura etica, legale e umanitaria collegate alle politiche spagnole ai confini», continua Alice Pannier, «impedire alla gente di migrare è una violazione della Dichiarazione dei diritti umani e, nel caso dei richiedenti asilo, una violazione del principio di non-refoulement previsto dalla Convenzione di Ginevra».
Le difficoltà da affrontare per varcare i confini con la Spagna trovano conferma nell’alto numero di migranti marocchini imbarcati verso il Sud Italia, 4.632 nel 2017 (gen-luglio), sette volte di più rispetto ai 630 arrivati in Spagna nello stesso periodo, malgrado la vicinanza della costa iberica. Ad oggi, la Via del Mediterraneo occidentale resta quella meglio sorvegliata. Le intese con Senegal, Mauritania e Marocco sembrano inossidabili, per questo, a nostro parere, la flessione dei passaggi dalla Libia e la deviazione dei flussi migratori difficilmente sfonderanno in Spagna. In base alla logica dei vasi comunicanti però, il protrarsi dell’esodo proveniente dal Centro Africa dovrà presto trovare una nuova via verso nord, magari ancora dalle coste libiche, oppure forzando i passaggi sull’Egeo verso la Grecia, mettendo a dura prova la tenuta dei ‘rubinetti’ stretti nella mano di Ankara.
@EmaConfortin
La Spagna è stata il primo Paese a sbarrare le frontiere ai migranti, poi seguita come “modello” dagli altri Paesi europei per le politiche di blocco ora attuate anche altrove, dalla militarizzazione dei confini agli accordi con Paesi sull’altra sponda e l’esternalizzazione della frontiere. Oggi però la rotta nel Mediterraneo occidentale vede un forte incremento dei flussi.