La campagna che rivendica il diritto alle riparazioni si fa più intensa a Varsavia. E mette a rischio la riconciliazione tra Polonia e Germania. Dietro il peso della memoria storica, la controffensiva contro l’Europa a guida tedesca.
Alla fine anche Beata Szydlo, la premier polacca, ha detto la sua sulle riparazioni che Varsavia potrebbe chiedere a Berlino per i danni materiali arrecati durante la seconda guerra mondiale. “Dobbiamo ancora prendere una decisione, ma abbiamo in teoria diritto a domandarle”, ha affermato venerdì, ospite in radio.
Altri ministri, prima di lei, avevano toccato l’argomento: nelle ultime settimane ha tenuto banco, è stato un tormentone. Quello degli Interni Mariusz Blaszczak ha stimato l’ammontare dei danni a 850 miliardi di Euro. Dei quali neanche l’1% è stato ripagato, secondo il vice premier Mateusz Morawiecki, che ha ricordato anche il costo in termini di vite umane: sei milioni.
Non poteva non esprimersi Jaroslaw Kaczynski, capo storico della destra polacca, tornata al potere due anni fa, e leader de facto del Paese. Ogni decisione passa o viene ispirata da lui. E dunque anche questa campagna per il risarcimento. “Sbaglia chi crede che la Polonia vi abbia rinunciato”, ha precisato qualche giorno fa.
La questione delle riparazioni è da sempre nelle corde della destra polacca. Nel 2004, quando era sindaco di Varsavia, Lech Kaczynski, gemello di Jaroslaw ed ex presidente, deceduto nel 2010, aveva chiesto che la capitale polacca, quasi del tutto rasa al suolo dai nazisti dopo l’insurrezione del 1943, fosse compensata. Ma mentre quella fu tutto sommato una campagna per e su Varsavia, stavolta il discorso è tambureggiante, concertato e nazionale.
A ogni modo non sarà facile ottenerle, le riparazioni. La Polonia vi aveva formalmente rinunciato nel 1953, e nel 1990, al momento della riunificazione tedesca, fu siglato un accordo con valore internazionale in cui le quattro potenze vincitrici della seconda guerra mondiale sollevarono la Germania da ogni possibile conto in sospeso legato alla distruzione che il nazismo seminò nel vecchio continente tra il 1939 e il 1945.
Ci si chiede allora perché il governo polacco insista tanto sul punto, mettendo peraltro a rischio le relazioni con Berlino, che durante gli anni dei governi liberali di Donald Tusk (2007-2015) sono sensibilmente migliorate. Da un lato, c’è un discorso di consenso. C’è un pezzo di Polonia, specialmente quella rurale, che è ancora timoroso e rancoroso verso la Germania. La destra coltiva questo sentimento, traendone consenso. Dall’altro, incide la partita europea. Varsavia è oggi una sorvegliata speciale di Bruxelles, per via degli attacchi allo stato di diritto e del mancato adeguamento alla politica di ridistribuzione dei rifugiati tra i Paesi membri, fissata obbligatoriamente dal Consiglio europeo. Ultimamente la cancelliera tedesca Angela Merkel, spinta anche dal clima elettorale a Berlino, ha segnalato un crescente disappunto nei confronti dell’atteggiamento polacco. E dunque la campagna per le riparazioni potrebbe essere un contrattacco alla cancelliera, o un modo per distrarre dalla partita con l’Ue. O ancora, un tentativo di sovrapporre l’immagine della Germania, la potenza ostile di ieri, a quella dell’Unione: il club a guida tedesca che vuole scardinare la sovranità polacca, con l’aiuto per giunta di un ex premier di Varsavia, Donald Tusk.
E qui rientrano in gioco i fattori di politica interna, visto che l’attuale presidente del Consiglio europeo – un traditore europeista e filo-tedesco secondo il pensiero della destra più oltranzista polacca – è l’unico in grado di mandare Kaczynski e i suoi uomini a casa nell’autunno del 2019, quando si tornerà alle urne. E quando scadrà il mandato dello stesso Tusk a Bruxelles.
Intanto, i vescovi polacchi hanno diffuso una nota preoccupata: “La riconciliazione con la Germania – hanno scritto – è un grande valore, ma può essere perso per via di decisioni mal concepite”. Suona come un biasimo nei confronti di Kaczynski, forse un po’ tardivo. Ma è anche, probabilmente, un aver cura della propria storia. Nel 1965 infatti i vescovi polacchi scrissero una celebre lettera a quelli tedeschi, in cui chiesero perdono e di essere perdonati. Fu considerato come il primo, grande gesto di riconciliazione tra i due Paesi. Processo, questo, che è stato una priorità della politica estera polacca post-1989. E anche di quella tedesca.
Ma non sempre il tragitto è lineare, come la recente vicenda delle riparazioni dimostra. Il peso della storia e del revisionismo, a volte, diventa incontrollabile. E questo vale anche per i tedeschi. Per esempio Erika Steinbach, parlamentare Cdu e leader dell’associazione dei tedeschi espulsi dall’Est dopo la capitolazione nazista, ha disconosciuto in passato la linea di confine tra Germania e Polonia (spostata a ovest dopo il 1945) e sostenuto che la Polonia, nel 1939, avesse mobilitato le sue forze armate prima dell’invasione nazista. Molti ci videro un tentativo di voler imputare al vicino orientale una quota di responsabilità per lo scoppio della guerra.
@mat_tacconi
La campagna che rivendica il diritto alle riparazioni si fa più intensa a Varsavia. E mette a rischio la riconciliazione tra Polonia e Germania. Dietro il peso della memoria storica, la controffensiva contro l’Europa a guida tedesca.