Una cosa è il consenso elettorale, un’altra quello economico. Stando ai sondaggi gli italiani scommettono sul governo. Ma preferiscono non investire i loro risparmi nei titoli di Stato. Intanto, nel confronto con Bruxelles Roma cerca di spostare l’attenzione dai numeri ai contenuti della riforma
Una cosa è il consenso elettorale, si direbbe, un’altra il consenso economico. Se è vero che secondo i sondaggi gli italiani scommettono ancora su questo governo e sulla sua linea, è anche vero che hanno deciso di non investire i loro risparmi nell’acquisto delle azioni dello stesso governo.
La ben nota ricchezza privata (quinta nel mondo dopo Usa, Giappone, Belgio e Olanda) delle famiglie italiane, il cui patrimonio netto vale 5 volte e mezzo il reddito medio del Paese, oltre a rappresentare una potenziale fonte di finanziamento per il governo, in caso di dolorose e impopolarissime patrimoniali, escluse per il momento dal governo stesso, si sperava potesse esprimersi con l’acquisto di titoli di Stato, i Btp. Quegli stessi titoli dei quali, a partire dallo scorso aprile, i grandi investitori stranieri si sono affrettati a sbarazzarsi, tendenza leggermente rientrata a settembre ma che perdura.
Ma anche le famiglie italiane – forse alcune delle stesse che appoggiano con il loro consenso questo governo – si sono guardate bene dall’investire in titoli dello Stato italiano, nonostante l’incentivo proposto dal governo con i cosiddetti Cir (conti individuali di risparmio), impignorabili, donabili senza imposta, con utili esenti da imponibilità fiscale.
Pochi giorni fa, due giorni prima della risposta dell’Unione alla manovra, si è svolta la 48 ore di vendite dei Btp ai clienti retail, i cittadini privati, che hanno però disertato l’invito a contribuire alle casse della patria, benché la cedola minima fosse la più appetibile da 4 anni a questa parte. I milioni di broker privati hanno evidentemente fiutato il mercato in senso opposto al favore dei venti elettorali.
Cosa dedurre? Gli italiani credono in questo governo ma non nel Paese? Non credono veramente in questo governo ma vogliono dare una scossa al Paese? Aspettano di vedere l’evoluzione della manovra, dei rapporti con l’Unione, le elezioni di maggio, per poi sfoderare o meno il proprio entusiasmo e finanziare la ‘manovra del popolo’, che sul tesoro del popolo conta assai?
Inoltre, se i social media riescono a influenzare il voto, certamente non hanno influenzato affatto l’investimento dei risparmiatori, che si sono ben documentati altrove, evidentemente. In ogni caso, ne esce un interessante ritratto dell’italiano medio, che sa molto ben dosare e gestire i livelli del proprio consenso.
Italia-Ue: dialogo tra sordi
La manovra italiana è accusata di eccessivo ottimismo e bocciata dalla Commissione europea, che potrà da gennaio dare corso a sanzioni, processo comunque lungo e complesso, che verosimilmente si allungherà ben oltre le elezioni europee di maggio.
Nel frattempo, il governo italiano, a voci unanimi, si dichiara pronto al dialogo, tenendo però invariati i numeri complessivi della manovra (per il momento) e concentrando i negoziati sulle riforme annunciate, tra le quali le due grandi nuove centrali di investimento nazionale, pubblico e privato: Investitalia, che dovrebbe amministrare (quando partirà) 25 milioni di euro all’anno per gestione e controllo degli investimenti pubblici (un altro carrozzone?); e Strategia Italia, che si dovrà concentrare sulle emergenze, con fondi ancora da conteggiare. La missione di Conte è spostare l’attenzione di Juncker e del team di Bruxelles dai numeri poco rassicuranti ai contenuti: crescita invece di austerity, sviluppo sociale, Italia più competitiva. E far arrivare il messaggio che il governo gialloverde non è ribelle né disobbediente all’Unione ma, dopo aver visto fallire le precedenti politiche dell’austerity, si sente la responsabilità, incaricato dalla maggioranza del popolo italiano, a ricercare e sperimentare ricette diverse. Per dirla con le parole di Salvini, disponibile al confronto con l’Unione a voce e molto meno su twitter: “se il Paese non cresce il debito sale, se il Paese cresce il debito scende”.
Le opposizioni, sia frontali (Pd) che oblique (Fi), lanciano i loro strali: “ladri di futuro”, lo slogan e l’hashtag di Maurizio Martina, mentre il capogruppo Pd in Commissione Bilancio al senato, Andrea Marcucci, invita con preoccupazione il governo gialloverde a «tornare nel mondo reale e cambiare la legge di bilancio». Antonio Tajani (Fi), presidente del parlamento europeo, mette in guardia il governo: «siamo isolati, lo spread è stabilmente sopra i 300 punti, la borsa è ai minimi dal 2016, abbiamo già perso 300 miliardi e cresce la sfiducia degli imprenditori». Più complottista Renato Schifani (Fi), che accusa la «sprezzante arroganza» del governo di voler deliberatamente colorare «la prossima campagna elettorale di contenuti antieuropeisti».
Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, risponde convinto che la manovra «assicura il totale controllo dei conti pubblici e l’obiettivo della riduzione del rapporto debito-Pil», e soprattutto invita tutte le parti politiche a non drammatizzare e a non enfatizzare il disaccordo tra l’Italia e la Commissione europea, pratica che danneggia entrambe.
Dialogo a oltranza conferma anche Di Maio su Facebook: “noi e l’Europa vogliamo la stessa cosa: ridurre il debito. L’Europa capirà che abbiamo scelto l’unica strada che funziona per raggiungere l’obiettivo”.
Una cosa è il consenso elettorale, un’altra quello economico. Stando ai sondaggi gli italiani scommettono sul governo. Ma preferiscono non investire i loro risparmi nei titoli di Stato. Intanto, nel confronto con Bruxelles Roma cerca di spostare l’attenzione dai numeri ai contenuti della riforma