Perù: il vero prezzo dell’oro – L’inchiesta [Parte 2]
In Perù, dietro l’estrazione illegale dell'oro si celano diritti umani calpestati e devastazione ambientale, con la complicità delle raffinerie internazionali
In Perù, dietro l’estrazione illegale dell’oro si celano diritti umani calpestati e devastazione ambientale, con la complicità delle raffinerie internazionali
Leggi la prima parte dell’inchiesta.
Nel corso degli ultimi vent’anni l’estrazione illegale dell’oro ha causato la distruzione di oltre 200mila ettari di foresta amazzonica nella regione peruviana di Madre de Dios, epicentro del traffico illecito di oro in Sudamerica, convertendosi nella principale causa di deforestazione di tutta la zona sud-orientale del Perù.
Una differenza sostanziale rispetto a quanto avviene nel resto del bacino amazzonico, dove la perdita di migliaia di ettari di foresta risulta imputabile, principalmente, all’espansione delle coltivazioni agricole e degli allevamenti illegali di bestiame. Fenomeno, quest’ultimo, che ha assunto connotati drammatici in Brasile, esponendo il Governo Bolsonaro a feroci critiche da parte dell’opinione pubblica internazionale.
La deforestazione è strettamente legata alla tipologia di attività estrattiva praticata a Madre de Dios, di tipo alluvionale, che vede i minatori tagliare la superficie boscosa per poi utilizzare potenti pompe a motore con cui estraggono l’oro depositato nei numerosi fiumi della zona. Una tecnica rudimentale che causa il deterioramento delle radici degli alberi fino a farli cadere, riducendo il territorio circostante ad una landa deserta e desolata.
L’Operazione Mercurio
Alla rapida espansione delle miniere illegali ha fatto seguito una complessa azione di contrasto sul campo da parte del Governo peruviano, culminata nel febbraio 2019 con l’Operazione Mercurio, un ingente dispiegamento di forze di sicurezza che ha permesso di recuperare il controllo dell’epicentro dell’attività illecita, un’area conosciuta come La Pampa.
“Dopo l’Operazione Mercurio abbiamo rilevato un calo del 92% del tasso di deforestazione nella zona, ma questo non significa aver risolto il problema, quanto piuttosto che i minatori si sono spinti verso altre aree come il fiume Pariamanu, divenuto il nuovo hotspot dell’estrazione illegale di oro a Madre de Dios”, segnala il biologo Sidney Novoa dell’organizzazione Conservación Amazónica, impegnata nel monitoraggio delle diverse cause di deforestazione all’interno dell’Amazzonia.
La distruzione della superficie boscosa non rappresenta però l’unica conseguenza dell’attività estrattiva in termini di impatto ambientale. Per separare l’oro dai residui della sabbia e di altri minerali i minatori ricorrono infatti all’utilizzo del mercurio, un metallo altamente tossico per il sistema nervoso centrale e periferico, soprattutto nella forma organica di metilmercurio, che viene prima amalgamato con l’oro e poi fatto evaporare, contaminando così l’intero ambiente circostante. In media si utilizzano 2,5 kg di mercurio per ottenere un kg di oro.
Uno studio del Carnegie Institution for Science ha evidenziato che il 78% della popolazione adulta di Puerto Maldonado, capoluogo della regione di Madre de Dios, presenta una concentrazione di mercurio superiore ai limiti consentiti, causata dal consumo di pesce proveniente dai fiumi contaminati dall’estrazione dell’oro. Un dato che evidenzia come la tossicità del mercurio rappresenti un rischio non soltanto per la salute dei minatori, costretti giocoforza ad entrare in contatto diretto col metallo, assorbendolo per via respiratoria.
Il mercurio dalla Bolivia
La maggior parte del mercurio che avvelena l’Amazzonia peruviana proviene dalla Bolivia, divenuta il principale importatore del mercato sudamericano dopo l’entrata in vigore del divieto Ue alle esportazioni di mercurio nel 2011, seguito dalla firma della Convenzione di Minamata, il primo strumento che regola l’estrazione e l’esportazione del metallo a livello mondiale. A partire dal 2015, in corrispondenza con una drastica diminuzione delle importazioni peruviane di mercurio, le statistiche evidenziano come la Bolivia abbia iniziato a importare, in media, oltre 200 tonnellate annuali di mercurio di origine messicana, una quantità che eccede enormemente la domanda interna del metallo. Tale incremento, secondo le autorità di Lima, si giustifica soltanto con il traffico illegale verso le miniere aurifere di Madre de Dios, come confermato dai numerosi sequestri di mercurio registrati lungo la frontiera che separa i due paesi.
Intorno alle miniere a cielo aperto di Madre de Dios sono sorti insediamenti minerari che non appaiono sulle mappe ufficiali, provvisti di strutture ed esercizi commerciali del tutto illegali, rivolti ad una clientela di soli minatori. Un’investigazione dell’Ong Veritè ha fatto luce sul traffico di esseri umani, finalizzato allo sfruttamento della prostituzione, che si nasconde dietro gli improvvisati bar e locali notturni della zona, rivelando che, nel solo settore di La Pampa, operavano circa 2000 schiave del sesso. Si tratta soprattutto di adolescenti provenienti dalle depresse province andine, obbligate a prostituirsi sotto minaccia di ritorsioni, anche nei confronti delle rispettive famiglie.
La tratta di esseri umani
In un contesto come quello dell’estrazione illegale dell’oro, il fenomeno della tratta di esseri umani riguarda però soprattutto uomini, sia adulti che minorenni, reclutati per essere sottoposti a lunghe giornate di lavoro nelle miniere. Le vittime sono attirate dai trafficanti, in alcuni casi membri dello stesso nucleo familiare, perlopiù attraverso un sistema chiamato “enganche”, consistente in false offerte di lavoro in ambito minerario a cui si aggiunge la consegna di una somma di denaro per coprire spese di viaggio ed altri costi, elemento chiave della successiva creazione di una servitù debitoria.
Una volta giunta a destinazione, la vittima di turno viene infatti informata di aver contratto un debito per il denaro ricevuto in anticipo, in molti casi falsamente presentato come a titolo gratuito, con il nuovo datore di lavoro, ruolo occupato da indefiniti personaggi che gravitano nell’universo di illegalità di Madre de Dios. Il debito determina quindi l’obbligo di lavorare, per almeno 90 giorni, al fine di ripagare la somma ricevuta, sotto minaccia e con il preventivo sequestro dei documenti d’identità, in modo da evitare eventuali fughe.
Il Global Slavery Index stima in 80mila le persone ridotte attualmente in condizione di schiavitù in Perù, buona parte delle quali impegnate nelle miniere aurifere illegali, secondo ulteriori dati del Ministero del Lavoro peruviano.
“Le persone oggetto di sfruttamento nell’ambito dell’estrazione illegale dell’oro vivono al di sotto della soglia di povertà, quasi tutte provengono dalla regione andina”, sottolinea Luis Enrique Aguilar, investigatore dell’associazione CHS Alternativo, a proposito della tipologia delle vittime della tratta. “Abbiamo registrato anche casi di persone, compresi minorenni, arrivate spontaneamente a Madre de Dios nonostante la consapevolezza dei rischi connessi col lavoro nelle miniere – aggiunge lo stesso Aguilar – perché spinte da condizioni di estrema precarietà economica”.
I controlli sulle attività illegali
Il Codice penale peruviano sanziona espressamente l’attività mineraria illegale, non solo di tipo aurifero (Art. 307-A), definendone come caratteristiche principali l’esercizio all’interno di aree naturali e l’utilizzo di tecniche incompatibili con il rispetto dell’ambiente, in aggiunta alla mancanza di qualsiasi tipo di autorizzazione formale. Una tipologia di reato che si manifesta, apertamente, tra le miniere aurifere dell’Amazzonia peruviana.
Alcuni sequestri di lingotti d’oro effettuati negli ultimi anni dalle autorità doganali all’aeroporto di Lima, hanno permesso di svelare la complessa trama che si cela dietro il commercio dell’oro illegale proveniente da Madre de Dios, in buona parte diretto verso le raffinerie della Svizzera. Il Paese elvetico, leader mondiale della lavorazione del metallo prezioso, rappresenta infatti la principale destinazione dell’oro peruviano, importando in media oltre 150 tonnellate annuali.
“Gli esportatori nazionali giocano un ruolo decisivo nel traffico di oro perché garantiscono ai minatori la possibilità di operare illegalmente, acquistando metallo di origine illecita. Una responsabilità da cui non sono esenti le raffinerie internazionali, passibili di denuncia per finanziamento di attività minerarie illegale, ai sensi del nostro Codice penale, qualora venga provato che abbiano acquistato consapevolmente oro illegale”, evidenzia l’avvocato César Ipenza, esperto di reati ambientali in Perù.
Circa 60 società di esportazione, la metà di quelle operanti in Perù, sono finite sotto la lente d’ingrandimento delle autorità giudiziarie per reati di frode fiscale e riciclaggio di denaro connessi con attività minerarie illegali. L’attenzione degli inquirenti si è concentrata, soprattutto, sulle milionarie operazioni che hanno visto coinvolti i principali fornitori delle raffinerie svizzere Metalor e MKS, due colossi del settore, accusati di aver acquistato oro illegale per poi esportarlo all’estero.
Il mercato internazionale
L’origine illecita del metallo prezioso dev’essere ripulita prima dell’arrivo sui mercati internazionali, al fine di renderlo legalmente commerciabile. Le indagini della giustizia peruviana hanno rivelato che parte dell’oro estratto illegalmente a Madre de Dios viene lavato, ad esempio, attraverso formali concessioni minerarie, aumentando il volume di produzione in modo che il metallo risulti proveniente da una fonte perfettamente legale. Una modalità di riciclaggio accompagnata dalla falsificazione della reale provenienza dell’oro nelle fatture di acquisto emesse dalle società di esportazione, operanti attraverso succursali installate in prossimità delle miniere e nel capoluogo regionale di Puerto Maldonado, che si riforniscono presso piccoli commercianti locali, chiamati “acopiadores”, incaricati di acquistare l’oro direttamente dai minatori illegali.
Con l’avvento del nuovo secolo la comunità internazionale ha iniziato a mostrare maggior interesse per l’impatto delle attività imprenditoriali su ambiente e diritti umani. Una preoccupazione confluita nella stesura dei Principi guida su imprese e diritti umani delle Nazioni Unite, adottati nel 2011, che sanciscono tre pilastri fondamentali: il dovere dello Stato di proteggere i diritti umani dalle violazioni compiute da terzi, la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani e la necessità di garantire l’accesso alla giustizia per le vittime degli abusi. Uno strumento di soft law privo di reale efficacia vincolante, ma di grande valore simbolico, rappresentando un riferimento importante per l’evoluzione normativa sul tema.
Le normative sul commercio dei minerali
Il commercio internazionale dei minerali, in primis quello dell’oro, costituisce uno degli ambiti più complessi da regolare a livello normativo, considerando le dimensioni delle imprese operanti nel settore e il coinvolgimento, a diversi livelli, di numerosi attori, con la frequente sovrapposizione di aspetti legali ed illegali lungo la catena di distribuzione.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha adottato nel 2011 una serie di linee guida relative al commercio di minerali provenienti da zone di conflitto e ad alto rischio, seguite da un supplemento riguardante, in modo specifico, il commercio dell’oro. Il testo stabilisce uno schema di 5 punti fondamentali per l’implementazione di una due diligence, un sistema di controllo che permetta alle aziende di identificare eventuali rischi connessi con la violazione di diritti umani ed altre tipologie di condotte criminali lungo la catena di approvvigionamento del metallo prezioso.
Nel 2017 l’Unione europea ha approvato un nuovo regolamento, in vigore dal 1 gennaio 2021, che rende obbligatorie le raccomandazioni dell’Ocse per gli importatori europei dei cosiddetti conflict minerals, ovvero stagno, tantalio, tungsteno ed oro. In altre parole le aziende dovranno assicurarsi che l’estrazione dei metalli e minerali sia avvenuta in modo responsabile, evitando di finanziare gruppi armati e criminalità organizzata nei rispettivi paesi di provenienza, ritenuti aree ad alto rischio per la possibile violazione dei diritti fondamentali come nel caso di Madre de Dios.
Secondo stime dell’Ue, il nuovo regolamento vedrà coinvolte tra le 600 e le 1000 imprese operanti nel mercato europeo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
Leggi la prima parte dell’inchiesta.
Nel corso degli ultimi vent’anni l’estrazione illegale dell’oro ha causato la distruzione di oltre 200mila ettari di foresta amazzonica nella regione peruviana di Madre de Dios, epicentro del traffico illecito di oro in Sudamerica, convertendosi nella principale causa di deforestazione di tutta la zona sud-orientale del Perù.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di geopolitica
Abbonati per un anno alla versione digitale della rivista di geopolitica