Al via il governo di Pedro Castillo, leader di Perú Libre, partito che si dichiara marxista-leninista. Per la prima volta la sinistra arriva al potere per la via democratica nel paese andino, e si propone di riformare l’impianto istituzionale ereditato dal fujimorismo. I possibili cambiamenti negli equilibri regionali.
Da una casetta di fango sulle Ande centrali al Palacio Pizarro, sede della presidenza del Perú. Sin dal suo primo discorso alla cerimonia di insediamento Pedro Castillo ha voluto dare un’aura epica al proprio arrivo al potere. “È la prima volta che il nostro paese sarà governato da un contadino”, ha sottolineato Castillo.
Un risultato assolutamente inatteso, giunto a coronamento di una fenomenale crisi politica che attraversa il Perù da decenni: tutti i presidenti che ha avuto il paese dal 1986 ad oggi sono stati processati per casi di corruzione o violazione dei diritti umani. Negli ultimi cinque anni si sono succeduti quattro presidenti diversi, e l’ostruzionismo parlamentare ha impedito l’applicazione delle riforme di ciascuno dei loro governi.
Chi è Pedro Castillo
Un panorama da sogno per un outsider dal piglio popolare, un maestro rurale lanciato alla fama dopo il lunghissimo sciopero del mondo della scuola contro i tagli del 2017 in cui il nuovo presidente ha tenuto testa a ministri, segretari e alla stampa.
Castillo è arrivato al potere dopo essersi guadagnato un appoggio elettorale massiccio nelle regioni andine ed amazzoniche, ribaltando l’assioma che negli ultimi trent’anni ha garantito ai candidati sostenuti dalle regioni ricche di Lima e della costa nord del paese di mantenerne ben saldo il controllo politico. Ora si propone di rovesciare anche il modello economico voluto da quelle élite.
Dai tempi della dittatura di Alberto Fujimori (1990-2000), il Perù è stato tra gli alunni più efficienti del neoliberismo latinoamericano, mantenendo una crescita costante nonostante l’altissimo grado di disuguaglianze tra le diverse regioni del paese. Simbolo di quel modello è l’attuale costituzione peruviana, emanata dallo stesso Fujimori nel 1993 e che nessun governo ha avuto il coraggio di modificare. Buona parte del successo di Perù Libre è dovuto proprio alla promessa di riformare l’impianto istituzionale ed economico lasciato dal fujimorismo.
Impatto geopolitico
L’arrivo al governo di Castillo potrebbe rappresentare anche un importante cambiamento negli equilibri politici latinoamericani. Lima ha assunto sin dagli anni Novanta una chiara posizione nello scacchiere regionale. Sostenitrice dei Trattati di Libero Scambio con le principali potenze tradizionali, si è smarcata nei primi anni 2000 dal giro progressista della politica latinoamericana promuovendo l’Alleanza del Pacifico con gli altri governi di destra rimasti nella regione (Cile, Colombia e Messico). Il governo peruviano ha incoraggiato l’isolamento del Venezuela di Nicolás Maduro, e ha ospitato la prima riunione del gruppo internazionale creato con quello scopo, il Gruppo di Lima. Ha accompagnato Trump nelle poche crociate che ha lanciato nella politica latinoamericana, come la rielezione di Luis Almagro alla guida dell’Organizzazione degli Stati Americani o quella di Clever-Carone alla presidenza della Banca Interamericana di Sviluppo. Ora però l’allineamento peruviano potrebbe virare.
Le prime iniziative del nuovo presidente
Castillo ha designato al ministero degli Esteri l’ex guerrigliero e scrittore Héctor Béjar, che nel suo primo discorso ai diplomatici peruviani ha esposto le nuove linee guida della posizione internazionale del Perù. Ha denunciato l’embargo contro Cuba e le sanzioni contro Caracas, ha preventivato un avvicinamento al Gruppo di Contatto sul Venezuela -in cui partecipano l’Ue ed altri paesi sudamericani e che promuove un maggior dialogo col governo di Maduro-, e ha annunciato un maggior protagonismo del Perú negli organismi internazionali alternativi a quelli dominati da Washington, come la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac).
Una svolta complessa, e non da poco sotto il profilo geopolitico. Il Perù è il paese latinoamericano col maggior grado di connessione marittima con l’Asia dopo il Messico. Il porto del Callao è il secondo più grande sulla costa del Pacifico in America Latina, e la Repubblica Popolare ha scelto Chancay, a 75 chilometri da Lima, per costruire il primo porto interamente cinese in America del Sud. L’allineamento del governo di Castillo coi soci della sinistra latinoamericana (Messico, Argentina e Bolivia) è già in corso, ma il suo peso dipenderà dalla capacità di domare il complesso panorama politico domestico senza cadere nella volatilità che ha contraddistinto i governi peruviani degli ultimi anni.
Da una casetta di fango sulle Ande centrali al Palacio Pizarro, sede della presidenza del Perú. Sin dal suo primo discorso alla cerimonia di insediamento Pedro Castillo ha voluto dare un’aura epica al proprio arrivo al potere. “È la prima volta che il nostro paese sarà governato da un contadino”, ha sottolineato Castillo.
Un risultato assolutamente inatteso, giunto a coronamento di una fenomenale crisi politica che attraversa il Perù da decenni: tutti i presidenti che ha avuto il paese dal 1986 ad oggi sono stati processati per casi di corruzione o violazione dei diritti umani. Negli ultimi cinque anni si sono succeduti quattro presidenti diversi, e l’ostruzionismo parlamentare ha impedito l’applicazione delle riforme di ciascuno dei loro governi.