
Più che un campo di battaglia, il Paese nordafricano è una scacchiera.
Ci sono due criteri per descrivere lo scontro oggi in atto in Libia, uno politico e uno geografico. Secondo il criterio politico, due coalizioni si confrontano, ognuna con il suo parlamento e il suo governo: “Dignità” risponde al governo Al Abdullah Al Thinni di Baida e alla Camera dei Rappresentanti di Tobruk. “Alba” invece fa riferimento al governo di Omar al-Hasi e al Congresso Generale Nazionale di Tripoli.
La prima dice di lottare contro terroristi islamisti, mentre la seconda sostiene di essere l’ultimo baluardo a difesa della rivoluzione contro il ritorno degli uomini dell’ex-regime.
Sono interpretazioni che hanno certo un fondo di verità: nella coalizione Alba ci sono anche milizie islamiste come la Brigata 17 Febbraio o la Camera Operativa Rivoluzionaria Libica, in un’alleanza di convenienza con gruppi ben più estremisti come Ansar Al Sharia, accusata dagli americani di aver ucciso il loro ambasciatore l’11 settembre 2012.
Ma gli azionisti di maggioranza di Alba sono le brigate di Misurata, “integrate” nel Ministero della Difesa come Scudo libico, nonché diversi gruppi armati della minoranza berbera e di alcune città dell’Ovest.
Dignità, da parte sua, include ex membri dell’apparato di sicurezza di Gheddafi sia tra le milizie di Zintan che nei reparti del vecchio esercito che abbandonarono il dittatore nel 2011 e che ora sono comandati dal Generale Khalifa Haftar. Ma anche qui, gli azionisti di maggioranza sono altri e cioè un’alleanza tra i “federalisti” (in realtà secessionisti) della Cirenaica, i “rivoluzionari” di Zintan, parte della minoranza Tebu e ciò che rimane della coalizione anti-islamista che vinse la quota riservata ai partiti nelle elezioni del 2012, il cui leader è Mahmoud Jibril.
Queste due coalizioni fanno riferimento più o meno esplicito ai due fronti dello scontro intra-sunnita a livello regionale. Dignità e il governo di Tobruk e Bayda hanno legami con l’Egitto e con gli Emirati. I due Paesi sono stati accusati da anonimi funzionari americani sul New York Times di aver condotto raid aerei in Libia. Il governo Al Thinni ha firmato un accordo di collaborazione militare con l’Egitto in nome della “guerra al terrorismo” – dopo che il parlamento di Tobruk aveva opportunamente definito come terroristi tutti i suoi oppositori.
Il Generale Heftar, comandante effettivo di Dignità, non nasconde le sue simpatie per il Presidente egiziano al-Sisi e la sua agenda anti-Fratellanza musulmana, sostenuta da potenti imprenditori e uomini politici libici che fanno la spola tra il Cairo e gli Emirati.
I rapporti regionali di Alba sono meno chiari e comunque non le sono valsi il riconoscimento internazionale da parte di nessun governo. Solo l’inviato speciale turco ha osato incontrare il governo al Hasi a Tripoli, salvo poi fare marcia indietro. Il sostegno turco, comunque, è un segreto di Pulcinella così come l’appoggio del Qatar a diversi gruppi islamisti libici, ma non c’è nulla di tanto visibile come i rapporti di Dignità con gli Emirati e con l’Egitto.
Tuttavia, il criterio politico aiuta solo fino a un certo punto a spiegare cosa sta succedendo. Basti pensare che spesso Dignità o il governo di Tobruk vengono definiti come “nazionalisti”, quando una consistente parte di loro è “federalista” e cioè auspica la secessione di fatto della Cirenaica, la regione orientale della Libia.
Dall’altro lato, la definizione di Alba come “islamista” lascia molti osservatori occidentali stupefatti quando arrivano a Tripoli e invece che trovarsi di fronte un califfato trovano la stessa città di sempre, controllata da milizie più interessate ai ministeri e alle istituzioni finanziarie ancora presenti nella capitale (la Banca centrale dove affluiscono i soldi del petrolio) che a far rispettare la legge islamica.
Il criterio geografico aiuta di più a capire la situazione sul terreno e i possibili scenari. Le due coalizioni hanno sì giustificazioni politiche e legami con le potenze regionali, ma l’obiettivo è il controllo dello Stato e delle risorse che esso può distribuire: l’80% della forza lavoro libica riceve ancora oggi uno stipendio governativo, inclusi i combattenti delle milizie di ambo i lati.
Geograficamente, Alba controlla prevalentemente la Tripolitania e il sud-ovest del Paese, esclusa l’enclave montuosa di Zintan che è uno degli azionisti di maggioranza di Dignità e le tribù ostili dei Wershafana e Warfalla. Sulla costa, il suo controllo si estende dal confine con la Tunisia fino alla zona petrolifera costiera della Cirenaica, dove comincia il piccolo “regno” dei federalisti.
Oltre a Zintan, Dignità e il governo al Thinni controllano le due città di Tobruk e Bayda, nonché alcune zone del sud dove sono presenti i Tebu. Bengasi è un campo di battaglia da quando Heftar iniziò la sua insurrezione a maggio. Oggi è il teatro di battaglie di quartiere, spesso tra vicini che ricevono armi o da Heftar stesso o dai suoi rivali islamisti. Ansar Al Sharia, decapitata del suo leader Zahari, è divisa in tre tronconi (Bengasi, Sirte e filo-Isis a Derna) e oggetto di una battaglia per la successione.
Questi tre pezzi potrebbero essere la divisione della Libia del futuro: un’area poco più vasta della Tripolitania a ovest controllata da Alba; un’incerta presenza di Dignità in vaste zone della Cirenaica; Bengasi come campo di battaglia permanente. Per non dire di Derna, nuova calamita del jihadismo.
Insomma, più che guerra civile, di “guerra medievale” si tratta.
Più che un campo di battaglia, il Paese nordafricano è una scacchiera.