La democrazia indiana si anima di partiti e deputati con un’idea della politica come fosse una trattoria a conduzione familiare. Il seggio in parlamento è estensione del patrimonio della famiglia: si tramanda, come un’attività che funziona.

Di questa tendenza ne avevamo già parlato per la dinastia Nehru-Gandhi e per la vicenda di quel genio di Lalu Prasad, ché le contigenze dell’attualità in India ce ne hanno dato l’opportunità. Stesso discorso si potrebbe però estendere alla quasi totalità degli esponenti politici indiani, tanto che la norma delle scissioni interne ai partiti prevede la creazione periodica di partiti “personali”, che in rotta con le posizioni predominanti di uno dei macropartiti indiani – Congress e Bjp su tutti – a un certo punto per alzare il livello dello scontro fanno baracca e burattini e se ne vanno, portandosi dietro il famoso “pacchetto di voti” che controllano.
Un esempio lampante è rappresentato dal Trinamool Party, al potere da un paio d’anni in Bengala occidentale. Il nome esteso sarebbe All India Trinamool Congress ed è formalmente nato dalla scissione col Congress nel 1998, guidato da Mamata Banerjee. Nel 2011, con una campagna elettorale votata a mostrarsi come l’alternativa reale al Partito comunista indiano (Marxista) (Pci-M), è riuscito a interrompere la sriscia quasi quarantennale di reggenza comunista nello stato. Da quel giorno è stato ufficiale per tutti: non si trattava del Trinamool Party, ma del “Partito di Mamata-di”. Roba sua, dove l’attuale chief minister del Bengala occidentale ha diritto insindacabile di fare il buono e il cattivo tempo.
Oggi sulla stampa indiana è riffiorata un’altra storia emblematica. Si tratta della sostituzione al seggio di un candidato controverso del Congress, Mahendra Karma, attivo in una delle zone più calde del terrorismo maoista: il distretto di Dantewada, nel Chhattisgarh.
Brevemente: Karma è stato un prezzemolino della politica, saltando dal Pci-M al Congress e flirtando col Bjp a seconda della convenienza del momento. La storia lo ricorderà come il fondatore e referente politico del Salwa Judum, un esercito paramilitare governativo che nella lotta al terrorismo naxalita si è macchiato di crimini orribili – stupro di massa, razzie, incendi di interi villaggi, tortura – contro la popolazione tribale locale, tanto da essere messo fuori legge dalla Corte suprema. Karma è morto in un attentato maoista lo scorso maggio e ora, con le elezioni alle porte, ci si è trovati di fronte il problema della sostituzione, col resto della famiglia Karma “in cima alla lista degli obiettivi naxaliti”.
La scelta è ricaduta sulla vedova di Mahendra Karma, Devati Karma, all’insegna della tradizione familiare. Le doti politiche della signora Karma sono facilmente deducibili dalla descrizione che ne fa il figlio ripresa in questo lungo articolo pubblicato sull’Indian Express:
È una classica donna tribale, che si occupava solo di suo marito, dei suoi figli e del lavoro nei campi. Una volta scherzavo dicendo che quando papà si fosse spostato a fare politica a livello nazionale, lei avrebbe dovuto candidarsi per il suo seggio: mi ha rincorso per picchiarmi.
A tutta democrazia!
La democrazia indiana si anima di partiti e deputati con un’idea della politica come fosse una trattoria a conduzione familiare. Il seggio in parlamento è estensione del patrimonio della famiglia: si tramanda, come un’attività che funziona.