La preghiera collettiva di venerdì non era uno sfogo contro l’islam o i migranti. Il motore dell’iniziativa erano i vescovi. E la Chiesa polacca non sposa la linea dura di Kazcynski. Il suo principale nemico è la fuga di fedeli
Non ci sono ancora numeri precisi, ma il rosario al confine, l’impressionante preghiera collettiva tenutasi venerdì lungo le frontiere marittime e terresti della Polonia è stata un grande raduno popolare e di massa. Decine e decine di migliaia di persone, fino a un milione si va dicendo, vi hanno preso parte, trasportate nei punti di ritrovo – oltre quattromila – da pullmini messi a disposizione dalle parrocchie. È andata alla grande, esattamente come speravano gli organizzatori di Solo Dios Basta, una fondazione cristiana di cui prima di venerdì scorso non si sapeva granché.
Pochi dubitano a ogni modo che, benché non ci abbia messo formalmente il cappello, sia stata la conferenza episcopale polacca il vero motore di questo particolare evento, convocato in occasione del giorno della Madonna del rosario, che coincide con la vittoria cristiana a Lepanto nel 1571.
La ricorrenza particolare e il luogo prescelto, i limiti del territorio polacco, hanno portato diversi osservatori a pensare che il rosario sia servito a ribadire la volontà di non contaminarsi con l’Islam e di non accogliere migranti espressa dell’attuale governo di destra, guidato de facto da Jaroslaw Kaczynski (non ha incarichi pubblici ma dirige tutto e tutti), storico amico e alleato della chiesa.
La chiesa polacca è più conservatrice di altre, e con certi orientamenti radicali e revisionisti del governo c’è stato in questo periodo una certa sovrapposizione. Eppure, una lettura del genere non convince appieno. Sui migranti la chiesa non è sulla stessa frequenza di Papa Francesco, ritenuto troppo avventato, ma non ha nemmeno sposato la linea di Kaczynski. Lo stesso è accaduti su altri temi, a dire il vero. Uno è la questione delle riparazioni di guerra chieste alla Germania). Il rapporto rodato e mutuamente vantaggioso che intercorre tra i vescovi e Diritto e Giustizia (PiS), il partito di Kaczynski, non è assoluto e immodificabile. Può avere delle flessioni.
L’impressione che si matura è che il rosario di venerdì possa essere stato anche un modo per rilanciare l’iniziativa cattolica in un Paese che in questi ultimi anni è diventato meno religioso. I grandi numeri, come quelli di venerdì, della Giornata mondiale della gioventù del 2016 a Cracovia o della beatificazione di Papa Wojtyla (1700 autobus, 58 voli e cinque treni speciali dalla Polonia a Roma), non riescono infatti a nascondere una realtà informata da un’altra storia e da altri dati. È vero che la religiosità in Polonia rimane mediamente più alta che in altri Paesi occidentali, ma la domenica a messa c’è meno gente di un tempo. Nel 1980 ci si recava il 51% dei cattolici polacchi (sono il 90% della popolazione); nel 2014 appena il 39,1%. Sono soprattutto i giovani a non frequentare più le chiese. E i seminari. Dagli 8122 seminaristi del 1990 si è passati ai 3571 del 2015. La secolarizzazione s’è fatta largo anche in questo Paese.
Al tempo stesso, benché goda ancora di rispetto e autorevolezza, tanto che un recente sondaggio rivela che oltre il 60% dei polacchi ne approva l’operato, la chiesa cattolica non ha più la forza e la tensione morale dei tempi della lotta al comunismo e dell’epopea di Solidarnosc. E così il significato del rosario di massa potrebbe essere stato anche questo: ridare impulso a una chiesa che vuole rimettersi al centro, tornando popolare e riaccendendo la devozione della gente, la cui fede soffre il rapporto con la modernità.
Sicuramente, risultano equivoci la ricorrenza e l’aver fatto del confine un altare diffuso. Non vanno ignorati, ma neanche forzati oltre misura. La Polonia è un Paese dov’è fortissima la devozione mariana, e la scelta di tenere l’evento il 7 ottobre può riflettere anche questo. Quanto al confine, esso non per forza simboleggia una volontà di opposizione e di chiusura a chi è diverso, nella fede e nell’aspetto. In Polonia, lontana da Roma e stretta tra il mondo protestante e quello ortodosso, la cattolicità è storicamente connotata dall’essere frontiera, e dallo stare sulla frontiera. E vive anche di preghiere di massa e grande devozione.
Come su ogni altra cosa, pure in merito al rosario al confine i circoli conservatori e liberali polacchi si sono divisi. E un’occhiata ai giornali lo dimostra. Rodoslaw Sikorski, ex ministro degli esteri con Donald Tusk premier, ha detto che la Polonia non ha fatto i conti con l’illuminismo. Mentre il sociologo Zdzisław Krasnodębski, parlamentare del partito di Kaczynski, ha spiegato che in Europa certi fenomeni popolari sono possibili solo in Polonia, dove la chiesa e la fede si mantengono vive.
Sulla stampa, le stesse spaccature. Michal Szuldrzynski, commentatore di destra, ma non allineato, ha scritto sul suo giornale, Rzeczpospolita, che le critiche al rosario dal parte dei liberali riflettono la loro ipocrisia e il fatto che tollerino il cattolicesimo solo a certe condizioni, e quando non diventa fenomeno pubblico. Elzbieta Turlej, su Newsweek Polska, ha invece scritto che esistono due modi di vivere la fede, uno discreto e saggio, l’altro ostentato e spettacolarizzato. Quest’ultimo, alla fine, non lascia nulla. Il primo è quello che ti cambia la vita.
@mat_tacconi
La preghiera collettiva di venerdì non era uno sfogo contro l’islam o i migranti. Il motore dell’iniziativa erano i vescovi. E la Chiesa polacca non sposa la linea dura di Kazcynski. Il suo principale nemico è la fuga di fedeli