Ponte Morandi: la ripartenza dell’Italia comincia da Genova
L'opera di Renzo Piano è il simbolo della capacità di rialzarsi del nostro Paese. Ora serve una grande piano di infrastrutture. I soldi ci sono, ce li offre l'Europa: tanti, benedetti e subito
L’opera di Renzo Piano è il simbolo della capacità di rialzarsi del nostro Paese. Ora serve una grande piano di infrastrutture. I soldi ci sono, ce li offre l’Europa: tanti, benedetti e subito
La capacità di resilienza del nostro Paese è dato dal nuovo viadotto “Genova San Giorgio ex Ponte Morandi”, progettato dall’architetto Renzo Piano. Qualche giorno fa è transitata la prima auto, a fine luglio la consegna alle autorità con il taglio del nastro ufficiale. A meno di due anni dalla tragedia agostana che provocò 43 vittime, il mondo assiste a un prodigio dell’ingegneria civile per la grandiosità dell’opera e i tempi “cinesi” con cui è stata realizzata, dopo averci guardato per mesi attraverso l’ecatombe del Covid.
È tempo di ripartire, di reinventare un Paese, come ha detto Giuseppe Conte a conclusione degli Stati Generali di Villa Pamphili. È tempo di stupire con un nuovo rinascimento o un nuovo boom economico, come hanno sempre fatto gli italiani nei momenti storicamente più difficili.
Tra l’altro, ogni ricostruzione che si rispetti è sempre passata da un piano di grandi opere, proprio come il nuovo viadotto della città della Lanterna. Opere di cui l’Italia è letteralmente affamata: strade, autostrade, linee ferroviarie, porti, aeroporti, logistica integrata, ma anche scuole, ospedali, aree verdi e piste ciclabili, per non parlare delle infrastrutture digitali, anch’esse necessarie alla ricostruzione di un Paese, a partire dalla banda larga (attualmente non raggiunge nemmeno un quarto delle famiglie).
Finora il nostro Paese ha solo disinvestito sui cantieri. I finanziamenti di opere pubbliche sono diminuiti progressivamente negli ultimi anni, attualmente sono il 2,7% del Pil: andrebbero quanto meno raddoppiati, mentre finora abbiamo solo disinvestito. Questo deficit infrastrutturale ci costa 70 miliardi di euro all’anno solo per le esportazioni. Di opere necessarie all’ammodernamento del Paese, in una cornice di compatibilità ambientale (il green new deal globale profetizzato da Jeremy Rifkin), ne ha parlato anche il governatore della Banca d’Italia Visco e la task force del manager Colao nell’ormai celebre piano di rinascita (sperando che non sia giù lettera morta). Possiamo fare di necessità virtù, dove la necessità è la tragedia umana che ci stiamo lasciando alle spalle – con conseguenze economiche spaventose – e la virtù è la ricostruzione del Paese finanziata dai fondi dell’Unione europea.
L’Osservatorio economico dell’Università Cattolica di Carlo Cottarelli ha calcolato che per rimettere in piedi il Paese servirebbero circa 170 miliardi di euro, che sono bene o male quelli che ci spettano dal Recovery Plan dell’Unione europea. Una volta tanto, sempre che Conte si presenti a ottobre con un piano dettagliato e circostanziato (cosa non scontata, poi spiegheremo perché) i soldi ci sono, tanti, benedetti e subito. Dei 560 miliardi di euro del Recovery and Resilience Facility Plan ce ne spettano ben 172,7 di cui 81,8 a fondo perduto (udite udite) e 90,9 in prestiti agevolati. Un vero e proprio tesoretto.
Secondo il piano Colao, che prendiamo come paradigma, circa un terzo andrebbe a sostenere le famiglie, un terzo al turismo e un terzo alle infrastrutture. Per le opere pubbliche occorrono bene o male 44 miliardi, come abbiamo detto messi sul tavolo dall’Unione europea (attraverso l’emissione di bond super garantiti con la tripla A), da impiegare con accordi di partnership pubblico-privato.
Tutto così semplice? Dal punto di vista economico sì. Da quello politico per nulla. Le liti e i veti tra partiti rischiano di far collassare la maggioranza, un’orgia di veti incrociati su quale opera e quale no, un assalto alla diligenza campanilista che va dal Trentino a Marsala. Per non parlare della ben nota ritrosia (o dovremmo parlare di fobia?) dei 5 Stelle per le opere pubbliche (due esempi per tutti: alta velocità e gasdotto). Eppure qualunque opera di ricostruzione e ammodernamento del Paese passa per i cantieri e nel 2020 non è stato ancora inventato qualcosa di alternativo a questa ricetta economica: lo dice la storia del mondo, dal Partenone ai grattacieli di New York del New Deal di Roosvelt.
La capacità di resilienza del nostro Paese è dato dal nuovo viadotto “Genova San Giorgio ex Ponte Morandi”, progettato dall’architetto Renzo Piano. Qualche giorno fa è transitata la prima auto, a fine luglio la consegna alle autorità con il taglio del nastro ufficiale. A meno di due anni dalla tragedia agostana che provocò 43 vittime, il mondo assiste a un prodigio dell’ingegneria civile per la grandiosità dell’opera e i tempi “cinesi” con cui è stata realizzata, dopo averci guardato per mesi attraverso l’ecatombe del Covid.
È tempo di ripartire, di reinventare un Paese, come ha detto Giuseppe Conte a conclusione degli Stati Generali di Villa Pamphili. È tempo di stupire con un nuovo rinascimento o un nuovo boom economico, come hanno sempre fatto gli italiani nei momenti storicamente più difficili.
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