Ponte Morandi: siamo sicuri che sia giusto nazionalizzare Aspi, inneggiando all'uscita della famiglia Benetton per il rilancio della rete autostradale italiana?
Ponte Morandi: siamo sicuri che sia giusto nazionalizzare Aspi, inneggiando all’uscita della famiglia Benetton per il rilancio della rete autostradale italiana?
Il pasticciaccio brutto di Autostradeper l’Italia (Aspi) richiama inesorabilmente il ritorno dello Stato padrone. Basterebbe il commento del premier Conte: “L’interesse pubblico ha avuto la meglio su un gruppo ben consolidato di interessi privati”. Non parliamo poi del surreale video alla Marcel Marceau dell’ex Ministro Toninelli, che allude a una sorta di catarsi nazionale. Ma siamo sicuri che sia così?
Come è noto, dopo la tragedia del Ponte Morandi il Governo ha più volte minacciato la revoca delle concessioni ad Aspi alla famiglia Benetton, che la controlla attraverso Atlantia. Intanto, va detto che ancora non sono state accertate alcune responsabilità in merito alla terribile tragedia dell’agosto 2018 e che la giustizia deve ancora venire. Una giustizia forse troppo lenta, tanto è vero che si è fatto prima a ricostruire il nuovo viadotto progettato da Renzo Piano che ad arrivare a un verdetto.
Nel frattempo è andato in onda il tira e molla con Aspi e i suoi azionisti di riferimento. L’ultima è che la famiglia avrebbe accettato il ritiro graduale dall’azionariato, in cambio dell’entrata della Cassa depositi e prestiti. A che prezzo? Attraverso il pagamento di quale penale? Non si sa. C’è chi dice 3,4 miliardi, chi 7, chi addirittura 30. Intanto, si sa che i Benetton non usciranno da Autostrade per l’Italia, ma rimarranno soci di minoranza. E già questa è una contraddizione rispetto ai proclami moralistici dei 5 Stelle, muti o sonori che siano. Il secondo è che certamente lo Stato, che possiede la leva dell’imperio “ope legis“, acquisirà l’ente che gestisce la rete autostradale a un prezzo conveniente, dopo aver ridotto la clausola di rescissione del contratto da 23 a 7 miliardi. Facile no?
Peccato che, come ha rilevato recentemente Carlo Cottarelli, se lo Stato si comporta in maniera così arbitraria con i contratti, sarà difficile trovare un investitore internazionale disposto a rischiare i suoi quattrini in un Paese che si rimangia gli accordi: “Chi vorrà trattare con lo Stato di fronte a questo comportamento?”, ha scritto l’economista. Ma bisognava tener fuori i Benetton a furor di popolo, anche se finora non si sa quali siano state le loro responsabilità, se ce ne sono state.
L’impressione è che la faccenda sia tutt’altro che conclusa, e vada avanti solo a proclami. Inoltre, siamo sicuri che la gestione pubblica sarà migliore? Dal ‘90 a oggi abbiamo portato avanti le privatizzazioni, anche perché ce lo chiedeva l’Unione europea in nome della libera concorrenza, e ora facciamo un passo indietro di 50 (se non di 90), al tempo della fondazione dell’Iri di Beneduce e Mussolini, celebrando – come nella Ginestra di Leopardi – le magnifiche sorti e progressive della statalizzazione. Lo Stato dovrebbe fare da arbitro, a “lazzez faire, lassez passer”, limitandosi a garantire la libera concorrenza, l’occupazione e gli standard di sicurezza. E invece siamo ritornati alla mano pubblica, alle nazionalizzazioni e via dicendo. Rivedremo il Ministero delle Partecipazioni statali, abolito negli anni ’90?
Il pasticciaccio brutto di Autostradeper l’Italia (Aspi) richiama inesorabilmente il ritorno dello Stato padrone. Basterebbe il commento del premier Conte: “L’interesse pubblico ha avuto la meglio su un gruppo ben consolidato di interessi privati”. Non parliamo poi del surreale video alla Marcel Marceau dell’ex Ministro Toninelli, che allude a una sorta di catarsi nazionale. Ma siamo sicuri che sia così?
Come è noto, dopo la tragedia del Ponte Morandi il Governo ha più volte minacciato la revoca delle concessioni ad Aspi alla famiglia Benetton, che la controlla attraverso Atlantia. Intanto, va detto che ancora non sono state accertate alcune responsabilità in merito alla terribile tragedia dell’agosto 2018 e che la giustizia deve ancora venire. Una giustizia forse troppo lenta, tanto è vero che si è fatto prima a ricostruire il nuovo viadotto progettato da Renzo Piano che ad arrivare a un verdetto.
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