
L’accezione matematica del termine distanza ha un significato identico a quello dell’uso comune, ovvero la misura dello spazio che separa tra loro due luoghi, due oggetti, due persone. E’ una nozione semplice, a portata di tutti. La maggior parte degli esseri umani ne acquisisce il senso in maniera quasi automatica la prima volta che la palla rotola dall’altra parte del soggiorno e noi per raggiungerla dobbiamo cominciare a gattonare.
Molto più complessa ed astratta è l’idea delle grandi distanze. Se poi si arriva da un continente in cui il paese più esteso è la Francia il concetto di grande distanza assume una dimensione quasi fiabesca, difficilmente applicabile al reale conosciuto e comporta, di conseguenza, un discreto sforzo d’immaginazione.
Lo capisco quando a 16 ore dalla nostra partenza da Buenos Aires vengo svegliata dalla voce del conduttore dell’autobus che annuncia un prossimo arrivo a destinazione. Fuori dal finestrino le verdi pianure della pampa sono state sostituite da un paesaggio marziano, arido e uniforme, interrotto soltanto da bassi arbusti spinosi. Controllo la mappa per capire il tragitto percorso; durante la notte siamo passati dalla provincia di Buenos Aires a quella di Rio Negro e, da poco, abbiamo oltrepassato la linea retta che sulla carta divide quest’ultima dal Chubut. L’ Argentina è suddivisa in ventitré province, in un giorno e mezzo di viaggio noi ne abbiamo toccate tre.
Per le persone che come me sono nate in Europa le grandi distanze non sono soltanto difficili da immaginare, una volta immaginate hanno sulla mente lo stesso effetto vertiginoso dei precipizi.
@ElisaDipp