Donald Trump sarà il 45º presidente degli Stati Uniti d’America. Si tratta di una buona notizia per l’Europa?
Dipende. Più da quello che farà Trump durante il suo mandato – i cui orientamenti politici si presentano ancora incerti – dipenderà molto da come l’Unione europea (Ue) ed i governi dei suoi Stati membri decideranno di affrontare alcune dinamiche già presenti da tempo sul tavolo delle relazioni transatlantiche e all’interno dei propri confini, dinamiche che il nuovo presidente americano potrebbe più che altro accelerare.
Il punto su quale c’è più certezza è quello economico, nello specifico sulle sorti del Partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip), l’accordo di libero scambio tra Ue ed Usa le cui negoziazioni aperte nel 2013 sono oggi ad un punto morto a causa di forti divergenze tra le due parti. Il Ttip, insieme ad altri accordi tesi alla liberalizzazione del commercio che vedono la partecipazione degli Usa, sono stati tra i temi più dibattuti durante i mesi di campagna elettorale. Donald Trump si è dichiarato contrario al Ttip, potenzialmente rischioso – secondo la sua visione – per i posti di lavoro dei cittadini americani, in particolare di quegli “sconfitti della globalizzazione” che lo hanno votato in massa lo scorso 8 novembre proprio negli Stati dove gli effetti della delocalizzazione industriale e delle importazioni a basso costo si sono fatti più sentire. Su queste premesse, la possibilità che le negoziazioni del Ttip possano conoscere un rilancio nei prossimi mesi è definitivamente sfumata. Almeno per i quattro anni a venire.
Maggiori incertezze sembrano esserci in politica estera, la cui ricetta dell’attuale presidente in pectore potrebbe rivelarsi un mix di isolazionismo vecchio stampo e realismo modellato sull’attitudine da businessman di successo che si è ritagliato addosso negli anni. Ovvero: se Clinton sarebbe stata senza tante sorprese espressione di un’ideologia liberale sostenitrice delle istituzioni sovranazionali, e del rispetto di un ordine internazionale basato su norme e diritti da difendere anche ricorrendo alla forza, Trump sembra essere guidato dal solo interesse nazionale, da ricercarsi attraverso un disinteresse per ciò che succede in altri regioni del mondo o tramite accordi con chiunque possa rivelarsi utile al raggiungimento di un “guadagno” politico (bad guys come Russia o Egitto compresi).
Per l’Europa ciò comporterebbe in primis delle implicazioni nel settore della sicurezza e della difesa. La Nato è stata per quasi tutti i presidenti americani il pilastro principale delle relazioni transatlantiche, per Trump è invece un’alleanza fuori tempo massimo colpevole di far spendere troppi soldi agli Stati Uniti. Già da diversi anni l’Alleanza atlantica non gode di ottima salute, sia a livello politico che finanziario. Un silenziosa ritirata degli americani dall’organizzazione e dall’altra sponda dell’Atlantico creerebbe non pochi problemi ai paesi europei, rivelatisi fino ad oggi incapaci di svolgere autonomamente operazioni militari (vedi in Libia nel 2011) e ad assicurarsi un efficiente livello di cooperazione in campi quali la sicurezza informatica o l’intelligence.
Per l’Ue un tale scenario potrebbe diventare tuttavia un’opportunità. Al Consiglio europeo del prossimo dicembre l’Alto rappresentante Mogherini presenterà ai capi di stato e di governo dei 28 (quasi 27) il piano attuativo della Strategia Globale dell’Ue in politica estera adottata lo scorso giugno, che indicherà nel dettaglio i prossimi passi da compiere per rafforzare l’integrazione europea della difesa. Per fine anno è anche previsto da parte della Commissione il piano di azione per la difesa, in cui si affronteranno le questioni relative al mercato e ai finanziamenti per i progetti di ricerca e sviluppo nel settore. Iniziative importanti alle quali si affiancheranno quelle di natura politica attese da alcuni Stati membri (probabilmente Francia, Germania, Spagna e Italia). In vista di un alleato americano sempre più stufo di sostenere i costi della sicurezza europea – la presidenza Obama su questo punto era stata chiara – l’occasione offerta dalle future scelte di Trump unite all’attivismo delle istituzioni europee potrebbe dar vita a significativi sviluppi per le strutture della sicurezza e difesa dell’Unione. In questo caso saranno l’Ue ed i suoi paesi gli unici artefici del proprio destino.
A livello diplomatico, i dossier che Trump troverà nello studio ovale e che interessano direttamente o indirettamente l’Ue non sono pochi. Relazioni con la Russia, guerra in Siria, ed accordo sul nucleare con l’Iran i più importanti. Difficile prevedere se dal flirt elettorale di Trump per Putin nascerà qualcosa di concreto, ma ipotizzando la minore importanza che il prossimo presidente americano potrebbe dare alla questione Ucraina e alle pressioni anti-Mosca provenienti dai paesi dell’Europa orientale, oltre che da un tacito consenso all’attivismo russo in Siria – Bashar al-Assad appare meno impresentabile – l’amore potrebbe anche sbocciare. Un amore di comodo basato su freddi interessi comuni quali lotta al terrorismo e il contenimento della Cina, ma pur sempre una relazione. Il caso iraniano è forse quello più delicato. L’accordo raggiunto dal gruppo 5+1 con Teheran è stato un indiscusso successo di cui l’Ue si è presa parte dei meriti (uno dei pochi successi riconosciuti al lavoro dell’ex Alto rappresentante Catherine Ashton). Trump sull’accordo si è tuttavia detto più che scettico. Escludendo un rigetto plateale del trattato o una sua richiesta di ridefinizione, che porterebbero gli Usa ad inutili tensioni diplomatiche con l’Ue e la Russia, non è da escludere il rischio che l’accordo conosca una lenta agonia causata dalle resistenze del governo americano. In tutti i casi sopracitati, l’Europa sarà chiamata a difendere le sue scelte mettendo in azione tutti gli strumenti diplomatici che possiede. In un’Ue divisa su tutto, a partire dagli interessi, ciò potrebbe risultare difficile a dirsi ancor prima che a farsi.
Ed è proprio sulla coesione interna dell’Ue che potrebbero manifestarsi gli effetti più pericolosi della presidenza Trump. A festeggiare l’elezione del miliardario americano si sono difatti ritrovati capi di governo come Viktor Orbán e Theresa May insieme a politici come Marine Le Pen e Matteo Salvini, tutte personalità politiche accumunate da un più o meno profondo euroscetticismo. In vista delle elezioni presidenziali francesi e di quelle federali tedesche che si terranno il prossimo anno, la storica vittoria di un candidato populista, antisistema, e anti-immigrazione, rischia di generare un endorsment politico senza precedenti per tutti i partiti nazionalisti desiderosi di far tornare indietro il processo d’integrazione. Processo al quale, da ora in avanti, mancherà oltremodo l’esplicito sostegno politico statunitense che Barack Obama aveva più volte assicurato. Infine, a rendere la fotografia ancora più cupa, non è da escludere la possibilità che a Washington si incominci a prediligere una conduzione delle relazioni con i paesi europei su base esclusivamente bilaterale, con conseguenze divisive facilmente immaginabili.
Insomma, quanto paura deve avere l’Ue di “The Donald”? Poca, poiché la causa di problemi che la nuova presidenza potrebbe creargli hanno origine all’interno della stessa Unione, come le possibili soluzioni. Quanto consapevolezza deve avere l’Ue di questo? Molta, perché l’Ue ed i suoi Stati membri potrebbero diventare i peggiori nemici di se stessi, con o senza Trump.
Dipende. Più da quello che farà Trump durante il suo mandato – i cui orientamenti politici si presentano ancora incerti – dipenderà molto da come l’Unione europea (Ue) ed i governi dei suoi Stati membri decideranno di affrontare alcune dinamiche già presenti da tempo sul tavolo delle relazioni transatlantiche e all’interno dei propri confini, dinamiche che il nuovo presidente americano potrebbe più che altro accelerare.