Una calamità naturale improvvisa, un problema di salute inaspettato, la necessità di far fronte a una spesa improrogabile. Talvolta basta poco per mettere in ginocchio famiglie e imprese, specie se piccole, minacciando il loro presente e futuro, ma anche l’orgoglioso tessuto economico che rende sana una società.

Venire in aiuto nel momento del bisogno, e senza chiedere nulla in cambio: è proprio questa la missione della Israel Free Loan Association, no profit col cuore che batte a Gerusalemme e che dalla sua fondazione nel 1990 ha erogato oltre 50,000 prestiti per un totale di 200 milioni di dollari, oggi a un ritmo di 20 milioni di dollari all’anno.
Ricordando le difficoltà di privati e imprenditori dopo eventi come il terremoto che ha ferito l’Emilia nel 2012, o le devastanti alluvioni in Liguria del 2011 e 2014, non è difficile immaginare che se di fronte a queste situazioni esistesse la possibilità di ricevere immediatamente, evitando lungaggini burocratiche, alcune migliaia di euro per far fronte all’emergenza, da restituire senza un centesimo di interesse nel giro di anni, forse le storie che di un’Italia che non sa ricostruirsi racconterebbero un finale diverso.
Com’è accaduto a tanti abitanti sul sud d’Israele l’estate scorsa, quando il corso naturale della vita si è arrestato, interrotto e scandito dai continui lanci di missili da parte di Hamas, l’organizzazione terrorista che controlla la Striscia di Gaza.

Alberto e Mirta per esempio, arrivati in Israele dall’Argentina nel 2003 per stabilirsi ad Ashdod, quinto centro d’Israele per numero di abitanti e porto più importante del paese, si sono ritrovati con il loro piccolo negozio di casalinghi vuoto. Un incubo collettivo, economico e non, che ha portato la rovina di molti esercizi commerciali, in seria difficoltà nel resistere alla scomparsa dei clienti. A loro IFLA è venuta in soccorso prima e più speditamente dei canali ufficiali, come spiega orgogliosamente Eliezer Jaffe, 81 anni portati con energetico buon umore, bevendo un thè di fronte alla sede dell’associazione a Talpiot, quartiere a sud di Gerusalemme.
“Ciò che rende speciale la nostra organizzazione è che, a differenza di quanto accade con una banca, chiunque risponda ai requisiti previsti per le varie categorie di prestiti che accordiamo riceve automaticamente il denaro. E il nostro tasso medio di mancata restituzione è inferiore allo 0,5%, laddove per le regolari banche è attorno all’8/9%”.

La tradizione ebraica insegna che il più elevato livello di tzedakah (parola che viene normalmente tradotta con il termine “carità” ma la cui radice è in realtà la medesima del termine tzedek, giustizia, in questo caso interpretato nel senso di dare agli altri ciò che è equo che ricevano) è offrire al prossimo un lavoro, o, appunto, un prestito senza interesse.
E il modello dell’IFLA, guardando alla sua storia e soprattutto ai suoi conti, si è rivelato completamente vincente.
“Siamo partiti con un capitale di 20,000 dollari e una stanza a prestito un paio di volte alla settimana per ricevere i clienti, con l’idea di offrire assistenza ai nuovi immigrati dall’Etiopia e dall’ex Unione Sovietica” spiega ancora Jaffe, che è anche il fondatore della facoltà di Servizi sociali all’Università ebraica di Gerusalemme, dove è arrivato dall’Ohio nel 1960. “L’idea era quella di aiutarli a mettersi sulla strada per camminare con le proprie gambe, offrendo una somma che li aiutasse a realizzare piccole necessità come acquistare i mobili per la casa. Col tempo, grazie a un potentissimo passaparola, la gente ha cominciato a conoscerci e a rivolgersi a noi per molti motivi diversi”.
Oggi l’associazione offre tre macro-aree di prestiti, per privati (fino a 30,000 shekel, equivalenti a circa 6,800 euro), per piccole imprese (fino a 90,000 shekel, pari a poco oltre 20,000 euro) e per altre no profit (fino a 23,000 shekel pari a 5,000 euro). Tra le specifiche categorie di prestiti che possono essere richiesti, c’è quella per aiutare le giovani coppie in cerca di un’abitazione, per far fronte alla necessità di trattamenti medici, per affrontare le spese di trattamenti di fertilità o di un’adozione all’estero, per sostenere i giovani negli studi universitari, e infine generale necessità economica, non dunque legata a una causa specifica.

Una particolarità del lavoro di IFLA è anche quella di richiedere come criterio fondamentale per accedere ai fondi, un introito mensile familiare fisso tra i 3,000 e i 15,000 shekel al mese (cioè tra i 700 e i 3,400 euro). Un’associazione che dunque non ha come obiettivo quello di assistere chi non ha nulla, ma piuttosto i “working poor”, coloro che pur lavorando e disponendo di uno stipendio, non riescono a far fronte alle spese.
“Oggi in Israele si calcola che un quinto delle famiglie di coloro che sono attivi nel mercato del lavoro vivano sotto la soglia di povertà. Quello dei ‘working poor’ è uno dei drammi peggiori che affliggono la società israeliana. E a questo dramma cerchiamo di offrire una risposta” prosegue Jaffe.
Così, grazie a IFLA, Leah ha potuto trovare supporto economico nel momento più difficile della sua esistenza, la scomparsa del figlio trentaquattrenne dopo una lunga malattia, per affrontare le spese del funerale; Anna è riuscita a ingrandire e ristrutturare il suo studio artigiano di ceramica; Gigno e Sanayed hanno ricevuto un prestito per l’anticipo necessario a comprare un appartamento, mentre Yishai, che ha perso una gamba dopo essere rimasto coinvolto in un incidente d’auto, ha acquistato una macchina che gli consente di guidare nonostante la sua disabilità.
“I prestiti possono essere ripagato nel giro di diversi anni, e se insorge qualche difficoltà, siamo pronti a rinegoziare i termini e le rate” racconta Jaffe.
Il continuo ingresso e uscita di denaro è fondamentale per IFLA, che spesso riesce a prestare ogni singolo dollaro del capitale a disposizione anche più volte all’anno.
La possibilità di monitorare l’impatto delle proprie donazioni è uno degli aspetti più apprezzati da coloro che sostengono l’associazione, che offre addirittura la possibilità di dare vita a dei “fondi” che portano il nome della propria famiglia o dei propri cari, a partire da 10,000 dollari, e di monitorare costantemente per quale scopo i soldi vengono utilizzati da un lato, e dall’altro di tenere vivo il ricordo di una persona attraverso una buona azione.
“Il nostro lavoro funziona, ne abbiamo ogni prova. Non riesco a spiegarmi come mai non ci siano altre organizzazione che facciano lo stesso in altri paesi” conclude Jaffe.
Nell’Italia del 2015, nell’Europa spezzata dalla crisi economica, ce ne sarebbe senz’altro bisogno.
Una calamità naturale improvvisa, un problema di salute inaspettato, la necessità di far fronte a una spesa improrogabile. Talvolta basta poco per mettere in ginocchio famiglie e imprese, specie se piccole, minacciando il loro presente e futuro, ma anche l’orgoglioso tessuto economico che rende sana una società.