Dopo i voti in Austria, Olanda e Francia, preannunciati dal non scontato esito del referendum ungherese (ottobre 2016), possiamo dire che l’onda lunga dei populismi segna una forte battuta d’arresto in Europa (da ultimo, anche nelle Amministrative in Italia – 11 giugno).
I sondaggi lasciano presagire che anche in Germania i partiti tradizionali si vedranno confermati al comando del paese guida dell’Unione (prossime politiche del 24 settembre). Solo in Italia, in cui regna sovrana una strutturale incertezza, non solo sulla data delle elezioni (autunno 2017 o maggio 2018?), ma sulle regole fondamentali della contesa, il Movimento populista di Beppe Grillo tiene ancora con il fiato sospeso – malgrado la sconfitta nei mille comuni di metà giugno – mercati e opinione pubblica. Come mai?
Eppure, se si dovesse giudicare dall’Amministrazione della Capitale, la sfida più importante alla quale è stato chiamato il Movimento 5 Stelle, il giudizio più moderato che si raccoglie − a distanza di un anno dall’insediamento della Sindaca pentastellata al Campidoglio, è un poco rassicurante “non pervenuto”. I sondaggi delle prossime regionali in Sicilia registrano ciononostante una vittoria schiacciante per i 5 Stelle, relegando i partiti tradizionali ad una minoranza mortificante.
Il caso Sicilia forse spiega molto: una parte del voto di protesta è infatti diretto contro un malcostume centenario, che ha sempre spinto i grandi partiti (dalla DC in poi) a sostenersi anche con il voto pseudo-mafioso, compromesso che oggi non regge più al controllo capillare e anonimo (quindi non soggetto al ricatto delle minacce) che internet e social network consentono. Un’altra parte del 30% di cui il M5s è accreditato a livello nazionale si spiega con il disagio profondo originato da una crisi lunga e grave, che ha inciso soprattutto in un tessuto (quello del Sud) dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto picchi di quasi il 60%.
Infine, la componente decisiva che trasforma la proposta populista in una credibile alternativa è l’insoddisfazione per la politica tradizionale, che oggi in Italia non riesce a fornire di sé un’immagine affidabile e visionaria, né convincente nei suoi interpreti; né a destra né tantomeno a sinistra.
La destra è ancora condizionata dall’eterna successione di Berlusconi, che non consente una svolta moderna e innovatrice; le estreme urlanti dei post-fascisti e post-leghisti non possono raccogliere per intero quell’eredità. La sinistra è vittima invece, da un lato, delle sue ricette rimaste ferme agli anni ’70 (con i vecchi leader alla deriva), considerate obsolete anche dalla stessa classe operaia; dall’altro, del liberismo renzista, lucido nell’analisi dei problemi e nelle proposte di riforma, ma condizionato pesantemente da una leadership disinvolta e culturalmente provinciale, che non sembra in grado di rifarsi una verginità, dopo tre anni di dittatura politica e psicologica.
La gestione della legge elettorale è paradigmatica di questo quadro: a poche settimane dal voto (giugno mentre scrivo), il Parlamento non riesce ancora ad esprimere un consenso su una legge che interpreti il momento, cercando disperatamente di far passare norme che mantengano alto il controllo dei partiti sui parlamentari, causando reazioni della base che non potranno che alimentare ulteriormente la protesta populista.
A meno che…. non emerga un Macron italiano, che sappia coniugare l’interpretazione corretta delle difficoltà del paese con il coraggio di proporre ricette adeguate, comunicando in modo virtuoso e utile con il paese. Come ci ha insegnato la favola francese (corroborata anche dai risultati delle legislative), i populismi non si combattono rincorrendoli, ma con una visione coraggiosa, intelligente, moderna e convincente. Auguri Italia, auguri Europa!
En attendant Macron…
Dopo i voti in Austria, Olanda e Francia, preannunciati dal non scontato esito del referendum ungherese (ottobre 2016), possiamo dire che l’onda lunga dei populismi segna una forte battuta d’arresto in Europa (da ultimo, anche nelle Amministrative in Italia – 11 giugno).