Il Paese pareva rassegnato alla guida autoritaria del sempiterno Hun Sen. Ora si sta svegliando.
Famoso per i suoi discorsi fiume, fino a poco tempo fa il Primo ministro cambogiano Hun Sen ostentava baldanza. “Intendo governare fino a quando avrò 74 anni”, disse una volta, il che lo porterebbe fino al 2027. Da “uomo forte” del Paese fin dal 1985, d’altronde, di rivali all’orizzonte non ce n’erano.
Oggi, l’ex Khmer rosso è ancora in sella, ma sotto di lui la Cambogia si è imbizzarrita con scioperi, manifestazioni, più in generale una sensazione di risveglio dopo anni di rassegnazione. C’è chi parla di “primavera cambogiana”.
Nelle elezioni dello scorso luglio, il Partito di salvataggio nazionale (Cnrp) – nato dalla fusione di due movimenti all’opposizione – ha conquistato 55 seggi in parlamento contro i 68 del Partito popolare cambogiano (Cpp) di Hun Sen. Ma dati gli ampi brogli di un sistema tarato per mantenere al potere l’autoritario leader, il Cnrp crede di essere stato defraudato di una storica vittoria: boicotta tuttora l’Assemblea nazionale e per tutto il 2013 ha mantenuto un suo presidio a Phnom Penh, con ripetute proteste. A inizio gennaio Hun Sen ha perso la pazienza, sfrattando i manifestanti con le cattive e proibendo nuovi assembramenti.
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Il Paese pareva rassegnato alla guida autoritaria del sempiterno Hun Sen. Ora si sta svegliando.