L’avvento delle nuove tecnologie digitali e il ricambio generazionale stanno inevitabilmente trasformando il modo di comunicare e collaborare all’interno dell’ambiente lavorativo. I Millennials stanno subentrando ai Baby Boomers, portando una cultura innovativa nel mondo professionale: focalizzarsi sull’integrazione intelligente fra lavoro e vita privata, e quindi sulla ricerca di una flessibilità tale da permettere di essere produttivi ovunque, in ogni momento, con qualsiasi dispositivo.
Questo cambiamento nell’atteggiamento della forza lavoro sta condizionando fortemente le scelte organizzative delle imprese, che ora necessitano di ridefinire i processi per assecondare e ottenere il massimo da un workplace più mobile e flessibile: maggiore agilità, migliore esperienza e soddisfazione, maggiore collaborazione, tempi di risposta e decisionali più rapidi, incremento della produttività, ottimizzazione dei processi e quindi consequenzialmente aumento dei ricavi.
Uno dei punti chiave della trasformazione del workplace è l’abilità dell’azienda di diventare mobile e il cloud rappresenterà il canale principale con cui verranno erogati i servizi a questa nuova forza lavoro. Secondo gli ultimi studi condotti da IDC Italia la popolazione europea di mobile worker crescerà da 97 milioni di unità nel 2016 a 120 milioni nel 2021, e che la quota sulla forza lavoro complessiva salirà dal 53% al 63% nello stesso periodo.
“Working from home is a future-looking technology”, ha dichiarato Nicholas Bloom, professore presso la Stanford School of Business, durante l’evento TEDxStanford tenutosi lo scorso aprile. “I think it has enormous potential.”
Nel 2015 l’economista ha studiato la più grande agenzia di viaggi cinese, Ctrip. Con sede a Shanghai, la società ha 20.000 dipendenti e una capitalizzazione di mercato di circa 20 miliardi di dollari. Consapevoli di quanto siano esorbitanti i prezzi nel mercato immobiliare di Shanghai – i leader dell’azienda hanno cominciato ad interessarsi dell’impatto che potrebbe avere il “lavorare da casa” per la produttività e l’efficienza. Quello che è emerso dallo studio è stato massicci miglioramenti nelle prestazioni (circa il 13%).
Due ragioni hanno portato a questa svolta: in primo luogo, le persone che lavorano da casa effettivamente lavorano più tempo. Per recarsi in ufficio, potrebbero essere ostacolate e ritardate dal traffico, oppure si potrebbero perdere ore preziose dietro a lunghi pranzi con un collega o per semplici imprevisti quotidiani.
Secondo Bloom, le persone a casa sono in grado di concentrarsi meglio. “The office is actually an amazingly noisy environment. There’s a cake in the break room; Bob’s leaving, come join. The World Cup sweepstakes is going. Whatever it is, the office is super-distracting.”
Inoltre, il suo studio ha trovato che le dimissioni presso l’azienda sono scese del 50% quando i dipendenti sono stati autorizzati a lavorare da casa. Non sono quindi soltanto i dipendenti a beneficiarne ma anche i gestori perché possono spendere meno del loro tempo pubblicizzando, reclutando o addestrando il personale.
Ma ora passiamo al nostro paese.
L’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha coinvolto 339 manager delle funzioni IT, HR e Facility, oltre a un panel rappresentativo di 1.004 lavoratori (in collaborazione con Doxa) per rilevare le attuali modalità di lavoro delle persone.
Gli Smart Workers, quei lavoratori che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati, sono già 250 mila, circa il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti, cresciuti del 40% rispetto al 2013 (facendo riferimento al solo lavoro subordinato). Con un prevalenza di uomini rispetto a donna e Nord rispetto a Sud, il lavoratore “smart” tipo trae benefici sostanziali nello sviluppo professionale, nelle prestazioni lavorative e nel work-life balance rispetto ai lavoratori che operano secondo modalità tradizionali.
I dati ci dicono che gli smart workers appaiono decisamente più soddisfatti rispetto alla media dei lavoratori riguardo allo sviluppo professionale e la carriera: il 41% valuta eccellente la propria capacità di sviluppare abilità e conoscenze propedeutiche a un’evoluzione professionale rispetto al 16% del campione complessivo. Una valutazione che vale in particolar modo per le donne smart workers, per cui il livello di soddisfazione è maggiore del 35% rispetto a quelle che lavorano in modo tradizionale.
Positivi anche gli effetti sulle performance professionali, come la qualità e quantità del lavoro svolto e la capacità di innovare nel proprio team di lavoro. Lo Smart Working ha un effetto positivo concreto sull’engagement delle persone: oltre un terzo del campione si sente di contribuire positivamente alla creazione di un buon clima aziendale e oltre il 40% degli smart workers è entusiasta del proprio lavoro.
Ancora, gli smart workers sono più soddisfatti della media nella capacità di gestire la vita professionale e privata: il 35% è molto soddisfatto di come riesce a organizzare il proprio tempo (rispetto al 15% di media) e il 29% riesce sempre a conciliare le esigenze personali e professionali (rispetto al 15% di media), anche in questo caso con un maggiore beneficio per le donne rispetto agli uomini.
Sempre secondo i risultati dello studio, ben il 30% delle grandi imprese nel 2016 ha realizzato progetti strutturati di Smart Working, a cui si aggiunge l’11% che dichiara di lavorare secondo modalità che se ne avvicinano. La situazione è più problematica invece per le PMI, tra cui la diffusione di progetti strutturati è ferma al 5% dello scorso anno, con un altro 13% che opera in modalità Smart in assenza di progetti strutturati.
Riporto quindi in conclusione le preganti parole di Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working.
“La ricerca rivela come il lavoro agile in Italia non sia più un’utopia né una nicchia, ma una realtà rilevante e in crescita in grado di offrire una boccata di innovazione e flessibilità a un mercato del lavoro per troppi anni bloccato da rigidità e contrapposizioni. Restano, tuttavia, sfide importanti da affrontare, come l’applicazione alla Pubblica Amministrazione, la diffusione tra le PMI e la declinazione del lavoro Smart nelle attività manifatturiere anche grazie all’innovazione introdotta dall’Industria 4.0”.
@Fala_luigissi96
L’avvento delle nuove tecnologie digitali e il ricambio generazionale stanno inevitabilmente trasformando il modo di comunicare e collaborare all’interno dell’ambiente lavorativo. I Millennials stanno subentrando ai Baby Boomers, portando una cultura innovativa nel mondo professionale: focalizzarsi sull’integrazione intelligente fra lavoro e vita privata, e quindi sulla ricerca di una flessibilità tale da permettere di essere produttivi ovunque, in ogni momento, con qualsiasi dispositivo.