
“Per lanciare En Marche! abbiamo aperto tre cantieri”, racconta Christian Dargnat, uno dei più stretti collaboratori del presidente francese. “Servivano soldi, un programma e una struttura”. Poi Macron ha osato dire: “Noi siamo a favore dell’Europa”.
In un’intervista esclusiva per noi, uno dei più stretti collaboratori del Presidente francese ci spiega in dettaglio i segreti mai svelati della fantastica cavalcata vittoriosa di Napoleone Macron: un mix di coraggio, uso intelligente del web, organizzazione e visione. Cosa manca in Italia per ripetere il fenomeno Macron.
Hai fondato con Emmanuel Macron ‘En Marche!’, e hai spesso raccontato che il partito è stato costruito da zero. Solo tre mesi prima della conquista dell’Eliseo molti opinionisti non ci credevano. Invece avete vinto anche le Parlamentari. Com’è stato possibile realizzare questo ‘kolossal’?
«Quando abbiamo deciso di formare un movimento politico, siamo partiti da due considerazioni. La prima è che oggi è molto difficile distinguere chi è di destra e chi di sinistra, la gente è di destra su alcune questioni e di sinistra su altre. Spesso non sa per chi votare. Noi abbiamo deciso di sostituire il binomio destra/sinistra con conservatori/progressisti. Esistono persone a favore dello status quo sia a destra che a sinistra, e persone che vogliono il progresso sia a destra che a sinistra. Questa è stata una prima svolta, aggiornare il dualismo. La seconda è derivata dal dato che in Francia esiste una percentuale molto alta di associazionismo (la Francia ha un primato mondiale per abitante), la gente ha voglia di investire il proprio tempo, energia e denaro per cause in cui crede. Ma non le trovava nella politica. La gente era stufa della classe politica, composta dalle stesse persone da decenni. Sia a sinistra che a destra. Era arrivato il momento di rinnovare la classe politica.
Abbiamo lavorato su tre ‘cantieri’. Il primo, strutturare un movimento ovunque in Francia, a livello locale, e abbiamo usato la rete social per animare questi gruppi sul territorio fino a creare un partito. Il secondo era definire un programma. Macron, all’epoca ministro dell’Economia, era conosciuto per la sua attività economica, dovevamo chiarire il nostro programma sociale, di politica internazionale, economico. Il terzo cantiere era la ricerca dei fondi per finanziare tutto questo. Ci siamo organizzati, all’inizio eravamo una decina di persone. Man mano il fenomeno è dilagato, anche perché contemporaneamente un personaggio carismatico e intelligente come Macron ha saputo ispirare milioni di persone».
Fino alle elezioni in Francia i populismi in Europa sembravano una marea inarrestabile. Voi siete stati i primi, e finora quasi gli unici a fermarli. Avete vinto in modo schiacciante lo scontro diretto con Marine Le Pen. C’è qualche ‘segreto’ particolare che vi ha consentito di fermare l’ondata populista?
«Macron ha osato dire ‘noi siamo a favore dell’Europa’. Essere a favore o contro l’Europa unita contrappone in modo chiaro i conservatori da un lato e i progressisti dall’altro. Anche in Italia. Ovviamente anche noi diciamo che l’Europa non funziona perfettamente ma essere a favore dell’Europa significa che vogliamo costruirla, rinnovarla, dare consistenza a quello che era un sogno, reinventarla. Dopo 20 anni in cui tutti i partiti politici tradizionali hanno criticato l’Europa, se qualcosa non va bene è sempre colpa di Bruxelles…. il fatto di aver osato andare contro ha risvegliato molte persone che non azzardavano più essere a favore dell’Europa. Questo è stato molto importante. E poi tre fattori chiave hanno portato a questo successo, a mio parere. Il timing. Durante la campagna, durata un anno, è stato importante indovinare gli eventi giusti nel momento giusto. Il secondo fattore è stato essere capaci di rischiare. Macron lo ripete spesso, ama prendersi dei rischi, anche nei suoi discorsi, e avere intorno persone che sanno rischiare. L’ha detto anche ai francesi: dovete osare. Anche in Italia avete molto energie, molte cose che vanno bene, ma come in Francia, sui media si celebra solo quello che non va. Basta. Che le cose vadano più o meno bene, bisogna comunque cambiare e fare meglio. Macron ha parlato spesso anche della cultura francese che, come quella italiana, è un bene fantastico. Il terzo fattore è avere persone molto in gamba nei posti chiave. Siamo stati attenti a mettere in ogni settore i migliori per animare la gente. Sono tre fattori qualitativi molto importanti. E naturalmente Macron, con il suo fascino, la gente era interessata a lui come personaggio. Giovane, una moglie con 20 anni più di lui, aveva anche la sua storia personale da raccontare. Questo è piaciuto moltissimo».
Un’altra domanda sulla vostra stupefacente campagna, uno degli eventi più spettacolari del 2017. Avete usato molto i social network. C’è chi li considera causa dell’avanzata dei populismi. La Le Pen li ha usati con una retorica spicciola di basso livello e ha perso. Trump anche li ha usati con una retorica simile però ha vinto. Io penso che dipenda molto dall’avversario, sono convinto che i democratici hanno sbagliato candidato. Come avete fatto a indovinare l’uso giusto dei social media?
«E’ stata una nostra priorità durante tutta la campagna. In Francia, i più potenti su questi media sono Front National e France Insoumise (Melanchon), questo si spiega con fattori storici, per anni i partiti di estrema destra e sinistra non hanno potuto accedere ai media tradizionali e hanno trovato altre vie di comunicazione. Oggi sono queste sono le vie che maggiormente influenzano le persone, in America come in Francia. Ci siamo chiesti come affrontare questi mostri di abilità. Avevamo meno potere, meno soldi, dunque dovevamo fare diversamente, innovare. Abbiamo usato messaggi ‘diversi’, talvolta con umorismo, usando musiche divertenti, o dando la parola a persone più giovani, che nessuno conosceva. Era importante differenziarsi. E abbiamo usato i social network soprattutto per mobilitare i nostri sostenitori, dicevamo per esempio ‘abbiamo bisogno di 10/30 persone questa sera in questo quartiere di Marsiglia’, li abbiamo usati più come strumento di mobilitazione che come mezzo di comunicazione. Sul fronte dei media tradizionali Macron parlava ai giornalisti, agli imprenditori, abbiamo usato i social network in modo diverso da come abbiamo usato i media».
Parliamo delle prospettive. L’Ue in questo momento ha due gambe, la vostra, e forse quella di Angela Merkel. Pensando all’Italia e sperando di avere tre gambe in un paio di mesi, che Ue possiamo realizzare? Riusciremo in questa legislatura, nei 4 anni che ci aspettano a fare dei passi avanti decisivi? Realizzare l’unione per la difesa, riuscire ad avere un budget?
«E’ fondamentale rifondare l’Europa da subito, dopo le elezioni europee. Abbiamo 3 possibilità: mantenere lo status quo del quale nessuno è contento e del quale sono chiari i limiti, oppure tornare indietro, ricostruire un maggiore nazionalismo, se scegliamo questa via sappiamo che, a livello economico, non saremo mai competitivi rispetto a Cina, India, Usa, e sappiamo che tornare alle frontiere non è la risposta ai problemi delle migrazioni né alle problematiche sociali ed economiche interne. Dunque l’unica via positiva è rifondare l’Europa. Il che significa proporre qualcosa ai nostri cittadini. Durante la campagna, Macron ha presentato un programma europeo. Il primo punto è costruire la sovranità europea, prendere misure europee sulla sicurezza, la difesa, le migrazioni, sul clima, sul digitale. Per questo è necessario un budget comunitario, dopo l’unione bancaria dobbiamo raggiungere la convergenza fiscale».
Il budget comunitario oggi è l’1% del Pil, del quale il 50% è sull’agricoltura. Secondo te è verosimile portarlo al 2% rapidamente e diversificarlo?
«Dobbiamo fare questa proposta. E questo farà la differenza tra quelli che vogliono portare il budget europeo al 2% e quelli che diranno ‘no, mai, vogliamo tornare a 0.5%’. Il secondo punto del programma è ridare ai cittadini il senso di essere europei. E’ quello che abbiamo chiamato ‘le Convenzioni Europee’. Un programma simile a quello che abbiamo fatto in Francia all’inizio di En Marche, andavamo a parlare ai cittadini porta a porta. Quali sono le priorità dell’Europa secondo l’uomo della strada. E non più decidere tutto a Bruxelles ma agire in modo che la gente si riappropri dell’idea stessa di Europa. Terzo, dobbiamo ricordare che l’Europa è democratica, quando la Polonia, l’Ungheria vanno verso regimi illiberali, questa è una frattura che non possiamo accettare. O siamo a favore di una democrazia socialdemocratica e liberale oppure non siamo a favore dell’Europa democratica ma in questo caso non possiamo restare nella stessa barca. Dobbiamo presentare un programma basato su questi argomenti in Francia, in Italia e in Germania e vedremo chi è a favore e chi contro, forse scopriamo che paesi a destra sono a favore o a sinistra sono contro e viceversa. Senza questo, sarà duro per l’Europa restare una grande potenza commerciale e politica nel mondo futuro. Dobbiamo anche accettare l’idea che i Paesi non possono essere d’accordo su ogni tematica, su alcuni argomenti l’Italia, la Francia, la Germania potranno andare avanti insieme, su altri forse non vorranno. Dobbiamo accettare un’Ue a geometria variabile. Invece oggi, e dall’inizio, tutti devono andare alla stessa velocità. Sappiamo che è impossibile perché abbiamo problemi diversi, culture diverse. Noi francesi vogliamo fare qualcosa di omogeneo con Germania e Italia. Lo scorso gennaio Macron a Roma ha proposto un trattato con l’Italia come 55 ani fa con la Germania. Perché la coppia franco-tedesca va bene come motore dell’Europa da 50 anni, meno negli ultimi 15/20 anni, ma sappiamo che Francia e Germania non potranno andare da sole, dobbiamo avere anche almeno l’Italia».
Un’ultima domanda. La vostra campagna è stata un successo, però oggi uno dei problemi fondamentali nelle democrazie occidentali è che si sta quasi sempre in campagna elettorale, non si riesce a fare delle politiche anche un po’ spiacevoli ma utili nel medio periodo perché si deve sempre rispondere ai sondaggi. Il presidente Macron ci sta riuscendo per il momento ma come si riesce oggi a rimanere sempre sulla cresta dell’onda?
«Macron implementa giorno dopo giorno quello che ha promesso nella sua campagna. Questo è fondamentale. In Francia negli ultimi 20/30 anni ogni capo dello stato, dopo le elezioni, non ha mai rispettato la sua parola. Se il popolo ha eletto Hollande, Sarkozy, Chirac, questi presidenti avrebbero dovuto attuare i loro programmi. Non l’hanno mai fatto. E’ una negazione della democrazia. Come si può essere sorpresi se la gente non crede più nella classe politica? Dopo la sua elezione, Macron ha eseguito ogni giorno quello che aveva detto avrebbe fatto. Fin quando applichi la politica che hai promesso al popolo, puoi essere criticato ma non puoi deludere. Per questa ragione Macron è riuscito finora, sono solo 8 mesi, a rimbalzare nei sondaggi, dà prova di rispettabilità perché implementa la politica promessa. Questo è il primo motivo. Il secondo è che sta dimostrando di essere veramente un uomo di Stato, ha una visione per il Paese, ed è in grado di prendere decisioni anche impopolari, e questo alla gente piace».
Quindi la riforma della scuola e del lavoro, malgrado le proteste di piazza, alla fine hanno portato a un rimbalzo dei sondaggi nei suoi confronti perché la gente ha capito che si andava a reimpostare un Paese per essere di nuovo protagonista nel medio periodo.
«E conta anche il metodo. La gente non è scesa in strada in massa perché stiamo seguendo una metodologia chiara, diciamo quello che faremo, prima di farlo consultiamo, parliamo con i sindacati, gli imprenditori, con tutti gli attori. Il governo ascolta, discute con ognuno di loro. Seguiamo queste tre fasi, discussione, decisione, implementazione. Diamo un’impressione di professionalità, rispetto, per esempio, alla presidenza precedente nella quale c’era molta confusione».
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“Per lanciare En Marche! abbiamo aperto tre cantieri”, racconta Christian Dargnat, uno dei più stretti collaboratori del presidente francese. “Servivano soldi, un programma e una struttura”. Poi Macron ha osato dire: “Noi siamo a favore dell’Europa”.