
L’ultrasettantenne ex Presidente degli Stati Uniti è apparso affaticato, ma sempre iconico, implacabile catalizzatore di attenzione, quasi a prescindere da ciò che ci ha detto, a margine del suo discorso a tremila ragazzi che abbiamo radunato nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per ascoltarlo…
Ho incontrato Bill Clinton un paio di volte in vita mia e mi ha sempre trasmesso l’impressione di un vero protagonista della storia, un leader che ha sempre avuto qualcosa da dire, ancora oggi, malgrado non rivesta più alcun incarico istituzionale. Ho avuto occasione, qualche mese fa, di pranzare anche con la figlia Chelsea, che mi ha raccontato di quanto abbiano patito, durante la campagna elettorale della madre Hillary, l’aggressione sulla rete di hacker inquinatori, verosimilmente non americani…
Partirei proprio da qui, dai nuovi mezzi di comunicazione, dai social, da internet. Come si fa a maneggiare questa nuova tecnologia, che sta alterando in modo decisivo il rapporto tra rappresentanti e rappresentati? Stiamo cambiando anche il nostro stile di vita…
BC:
Viviamo in un mondo pieno di potenzialità e pericolo. Ogni giorno, si potrebbero trascorrere 15 ore navigando su internet, leggendo tutte le cose belle e brutte che stanno succedendo. In questa congestione, una cosa è fuori discussione: la nuova generazione vivrà nell’epoca più dipendente da internet della storia e dovrà scegliere come pianificare la propria esistenza.
Se guardiamo a tutte le cose positive che stanno succedendo nel mondo: l’aspettativa di vita in aumento; il potenziale esplosivo delle tecnologie informatiche per aprire nuovi business e creare ricchezza; gli sviluppi degli studi sul genoma umano, che con ogni probabilità ha già aumentato l’aspettativa di vita dei giovani d’oggi sotto i 20, oltre i 90 anni. Tutto ciò si contrappone alla minaccia rappresentata dai conflitti etnici, religiosi e di altra natura, amplificati anch’essi dall’informazione e dal potere di attori non-istituzionali: gli atti di terrore e violenza, il crimine cibernetico.
Io credo che ogni uomo e donna debba sviluppare la propria mente e il proprio cuore per ampliare i fattori positivi e ridurre le forze negative legate alla nostra interdipendenza.
GS:
Tra le abitudini che, per fortuna di noi europei, non si sono mai trasmesse in Europa dagli Stati Uniti, malgrado internet, c’è l’uso privato delle armi. Com’è possibile che finanche le periodiche mattanze non vi inducano a rinunciare a questa storica regola della difesa privata del cow-boy?
BC:
Agli inizi di aprile, celebreremo il 50° anniversario dell’assassinio di Martin Luther King: aveva 26 anni quando prese il comando del più vasto movimento per i diritti civili nella storia della nostra nazione.
Qualche giorno fa, dopo un’altra terribile strage alla Scuola Superiore Marjory Stoneman Douglas nel sud della Florida, finalmente gli studenti hanno dichiarato “noi non permetteremo che le uccisioni si susseguano, nessuno agisce per migliorare la sicurezza e ridurre le probabilità di uccisioni di massa, perché i politici sono nelle mani della lobby delle armi”. Negli ultimi anni, ci sono stati più massacri negli Stati Uniti che in qualsiasi altra nazione, non solo in numeri totali, ma anche in proporzione al numero di abitanti.
Per questo, in ogni stato degli Usa, i giovani hanno partecipato a manifestazioni, chiedendo una legge sul porto d’armi. Sappiamo bene che il nostro paese ha una lunga cultura di caccia e di tiro con il fucile, che molte persone vivono in aree rurali, lontane dalle forze dell’ordine, e vogliono avere armi per difendersi; nessuno propone di togliere questi diritti costituzionalmente garantiti. Ciò che gli studenti propongono è l’istituzione di un serio sistema di controllo preventivo e l’impossibilità per i civili di possedere armi d’assalto militari, progettate solo per uccidere.
La gente dice “ma questa è una battaglia culturale”. No. È una battaglia per la sicurezza personale dei bambini statunitensi. È una questione di sanità pubblica e controllo del territorio, e si chiede solo ai cacciatori e ai possessori di armi di aiutarci a salvare le vite dei giovani. Non devono rinunciare ai propri diritti per dare ai giovani il diritto di evitare di essere massacrati. Ce la faranno? Dipende da molte cose. Io combatto per questa questione da tempo. L’ultima volta che sono state bandite le armi d’assalto e abbiamo fatto passi avanti nei controlli preventivi era durante la mia presidenza. In quell’occasione, abbiamo sconfitto la lobby delle armi.
Il mondo è interdipendente, molti governi dicono: “Le nostre differenze sono più importanti di ciò che ci accomuna, costruiamo muri”. Ma nessun muro protegge dalle idee, nessun muro può vietare l’accesso a internet.
GS:
Bill, passo a uno dei grandi temi che sta affliggendo l’umanità, fino a mettere a rischio le regole civili di convivenza pacifica: il fenomeno migratorio. Come potremo mai regolare 250 milioni di persone che lasciano i propri paesi di origine, se non abbiamo istituzioni globali credibili? Come riusciremo a mantenere la supremazia dell’uomo sociale sull’animale che è in noi?
BC:
L’intelligenza, l’abilità, la disponibilità a lavorare intensamente, la capacità di sognare in grande – tutto ciò non conosce frontiere, generi, razze, confini religiosi. Forse ci vorrà una nuova generazione, per aiutarci a imparare a non disfarci del diverso, ma ad abbracciarlo, sapendo che l’umanità che ci accomuna ha più valore.
Gli studi comportamentali mostrano che gruppi diversificati prendono decisioni migliori di gruppi omogenei. Tutti hanno paura degli immigrati perchè non sanno da dove vengono, se saranno violenti o meno. Le persone si sentono insicure se pensano che i loro confini non hanno più alcun significato. Certe persone non vogliono trovarsi con altri che non la pensano come loro su tutto.
Eppure, i posti più dinamici sono quelli che abbracciano la diversità. Non abbandonano la propria identità, non tralasciano la loro tribù, non fanno altro che accettare anche l’altra. Questa è la grande prova per il mondo moderno. La grande questione che stabilirà se saremo all’altezza delle altre nostre sfide, perfino cose apparentemente scollegate come il cambiamento climatico e la guerra al terrorismo cibernetico.
Dobbiamo farci domande semplici e dirette per arrivare al cuore della democrazia, della libertà e dei diritti umani. Tutto ciò significa che dovete essere d’accordo su ogni aspetto delle politiche migratorie italiane? No. Vuol dire ammettere che tante brave persone si trovano in situazioni disastrose in Medioriente, in Africa e altrove, e che qualcuno deve dare loro una mano. Anche alle loro famiglie e ai loro figli, in qualche modo.
Se non tu, allora chi? Come possiamo affrontare questo? Se si affronta il problema con l’ottica che la maggior parte delle persone sono buone e oneste e hanno tutto il diritto di vivere la vita al meglio e non vedere i loro figli uccisi, allora le differenze saranno gestibili. Potrei farvi molti esempi, ma in fondo la questione è questa: la cooperazione è meglio del conflitto, dobbiamo trovare il punto di equilibrio tra sicurezza e cambiamento, tra ordine e creatività. Se falliamo, non potremo avere governi efficaci.
In America, il tasso di criminalità tra i nostri immigrati, inclusi gli irregolari, è la metà di quello dei nativi. Il tasso di imprenditorialità dei nostri immigrati è il doppio dei nativi. Stanno creando lavoro per tutti noi. Ma a sentire come ne parla la stampa, non si direbbe. Perché? Perché è sempre un’ottima strategia politica quella di instaurare un mondo di “uno contro l’altro”. Martin Luther King viveva in un ambiente dove vigeva il noi contro loro, i neri e i bianchi e mai i due gruppi si dovevano incontrare. Non a scuola, non negli ospedali, non sul lavoro, da nessuna parte. Ma lui la vedeva diversamente.
Quando Nelson Mandela divenne il leader dell’African National Congress, aveva una tribù, discendeva dalla famiglia reale della tribù degli Xhosa in Sudafrica. Poi divenne il leader di molte tribù nere africane e, quando l’hanno eletto presidente del Sudafrica, nominò i leader dei partiti che l’avevano messo in prigione nel suo gabinetto, e divenne così il leader di tutti. Quando morirò, era ormai diventato l’immagine della riconciliazione, del perdono e dell’unità.
GS:
Cercando di non reiterare il tipico tema del conflitto generazionale, per cui noi adulti non riusciamo mai a interpretare le ragioni del secolo in cui viviamo, vogliamo provare a proiettarci nel futuro e immaginare cosa accadrà nei prossimi 25 anni?
BC:
Io credo che questo sia uno dei momenti più fertili nella storia dell’umanità. La maggior parte dei trend economici e sociali sono positivi. Mi piacerebbe avere 18 anni, per vedere come andranno le cose. Quest’estate con Hillary siamo andati alle Hawaii, per guardare l’universo con il più grande telescopio del mondo. Potevamo vedere oltre la nostra galassia. Poi siamo saliti fino a 9500 piedi dove, a occhio nudo, potevamo vedere la stella più brillante del cielo notturno in tutto l’emisfero settentrionale. Parlando con quei brillanti astrofisici, un paio dei quali aveva vinto il Nobel l’anno prima, ho chiesto “che ne pensate della possibilità di vita sugli altri pianeti?” Uno di loro mi ha sorriso e ha detto, “ci arrovelliamo spesso su questa eventualità, siamo divisi tra il 90 e il 95%”. In altre parole, tutti credono che in un universo con milioni di galassie e milioni di stelle, la probabilità che la vita non si formi su un altro pianeta è in pratica inesistente. Nella nostra galassia, abbiamo già individuato 20 pianeti negli ultimi anni, che parrebbero abbastanza lontani dal loro sole e sufficientemente densi per sostenere la vita. Sono ancora troppo lontani per arrivarci. Ma il punto è: non ci piacerebbe incontrare nuove civiltà? Per riuscirci, dobbiamo permettere ai nostri figli di salvare il pianeta dal cambiamento climatico e coltivare abbastanza cibo mentre proteggiamo la natura, in modo da condividere il nostro futuro.
Un uomo fuori dal comune, già oltre gli 80, si trovava nel mio ufficio oggi. Si chiama Marty Ahtisaari. Era primo ministro finlandese all’epoca della mia presidenza. Abbiamo lavorato insieme per tentare di aiutare la Russia a diventare una democrazia e costruire il mondo dopo la caduta del muro di Berlino. La Finlandia è considerato il paese più felice del mondo. Gli ho detto, “Marty, come fate a essere il popolo più felice del mondo?” Ha risposto “Penso che siamo diventati più felici perché abbiamo mantenuto l’eccellenza del nostro sistema scolastico, mentre ragazzi di 45 diversi paesi vi accedevano. Siamo un paese di poco più di 5 milioni di abitanti. L’anno scorso, ha vinto la Norvegia. Un paio d’anni fa, la Danimarca. Tutti paesi dove i notevoli successi personali sono affiancati da coesione sociale e cooperazione.
Io andavo in Sudafrica ogni anno per il compleanno di Mandela, perché siamo diventati buoni amici e lo celebravamo insieme. La mia fondazione ha promosso grandi iniziative sanitarie e agricole in Africa Centrale. Sugli altopiani la gente s’incontra per strada, perché il trasporto su gomma non esiste e tutti vanno a piedi. E quando s’incontrano e qualcuno chiede: “Salve, come va? La risposta non è: “Bene, tu? Ma: “Ti vedo”. Se si vuole cambiare il mondo in meglio dobbiamo vedere le persone. Hitler ha cambiato il mondo, le purghe staliniste hanno cambiato il mondo. Ma gli individui e le storie personali si sono perse. Con la tecnologia che abbiamo oggi, è moralmente inaccettabile far finta che la vita di qualcun altro vale meno della tua. Dobbiamo imparare a vivere “vedendoci” per pensare di poter vincere. Io non devo dover perdere perché tu vinca. Se impariamo a non dividerci ma a rispettarci l’un l’altro, tutto funzionerà meglio. Perfino i governi.
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L’ultrasettantenne ex Presidente degli Stati Uniti è apparso affaticato, ma sempre iconico, implacabile catalizzatore di attenzione, quasi a prescindere da ciò che ci ha detto, a margine del suo discorso a tremila ragazzi che abbiamo radunato nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per ascoltarlo…