Dopo la grande manifestazione di venerdì repressa dalla polizia, continua la contestazione a Bucarest. Nel mirino il governo socialdemocratico accusato di corruzione. Protagonista assoluta in questi giorni è la diaspora rumena, ma le proteste da tempo riempiono le piazze della capitale
La grande protesta di venerdì scorso a Bucarest, cui hanno preso parte centomila persone, ha riportato la Romania al centro delle cronache giornalistiche. Purtroppo per via delle violenze registrate nel corso della giornata: ci sono stati scontri tra alcuni dimostranti e la polizia. Il bollettino è pesante: quattrocentocinquanta feriti. E la protesta, seppur con numeri più ridotti, non si è fermata neanche a Ferragosto. Quella di ieri è stata la sesta serata consecutiva di contestazione a piazza della Vittoria.
Molti i dubbi sull’operato delle forze dell’ordine. Le ricostruzioni della stampa internazionale indicano che l’uso di lacrimogeni, cui la polizia è ricorsa a più riprese, è avvenuto in modo non selettivo. Gli agenti, così è sembrato, non hanno cercato di fronteggiare i pochi provocatori presenti in Piața Victoriei, l’ampia spianata posta davanti al palazzo del governo dove si è tenuta la dimostrazione. Il lancio di lacrimogeni è stato indiscriminato e ha raggiunto più aree dello slargo, anche quelle dove c’erano cittadini non certo animati da propositi bellicosi. Alcuni con le loro famiglie.
Pacifico, del resto, doveva essere il registro della protesta, che ha visto protagonista assoluta la diaspora, rientrata in patria per le vacanze estive. Come ricorda Giorgio Comai su Osservatorio Balcani e Caucaso la protesta era stata pianificata da tempo, con un tamtam sui social network. La diaspora, scendendo in piazza, ha voluto dimostrare che pur stando all’estero tiene alle sorti del Paese e manifesta, al pari di chi vive in Romania, la stessa preoccupazione e la stessa rabbia per il modo in cui sta governando il Partito socialdemocratico, ritenuto il massimo interprete di un fenomeno, quello della corruzione, che tormenta storicamente questo Paese, membro dal 2007 dell’Unione Europea.
Dopo i vari lanci di lacrimogeni, nella tarda serata di venerdì la situazione su Piața Victoriei si è fatta ancora più violenta. Sono arrivate le cariche, i cannoni ad acqua e gli spray irritanti, come riporta Giorgio Comai, che quel giorno era a Bucarest.
I disordini di venerdì hanno allungato la vita alla protesta. Anche ieri, per il sesto giorno consecutivo, ci sono state dimostrazioni a Bucarest, anche se è mancata la massa critica di venerdì e del fine settimana. I dimostranti chiedono che il governo, guidato da Viorica Dancila, si dimetta. Che assuma le proprie responsabilità per le violenze ingiustificate del 10 agosto, in merito alle quali Amnesty International ha emesso un comunicato molto critico. Pure il presidente della repubblica Klaus Iohannis ha condannato la gestione dell’ordine da parte della polizia, augurandosi che la magistratura faccia luce su quanto avvenuto. Al momento i giudici hanno avviato un’indagine per abuso d’ufficio e negligenza nei confronti del ministro dell’Interno Carmen Dan e del prefetto di Bucarest Speranta Cliseru.
Quella di venerdì non è stata una protesta isolata. Da quando i socialdemocratici sono tornati al potere, dopo le elezioni del dicembre 2016, le piazze di Bucarest si sono riempite in diverse occasioni, e sempre per lo stesso motivo: la contestazione nei confronti di un governo e di un partito che tutti considerano impresentabili e marci.
Già pochi giorni dopo il voto, non appena insediatosi, il governo aveva squadernato un decreto “salva-corrotti” che depenalizzava, a certe condizioni, alcuni reati tipici della politica tra i quali l’abuso d’ufficio. Molti esponenti socialdemocratici ne avrebbero usufruito per ripulirsi la fedina. E lì scattò la prima grande protesta di piazza, cui nel corso dei mesi ne sono seguite altre.
Tra i beneficiari di quel decreto, per come fu inizialmente scritto (dopo le proteste fu reso solo vagamente più digeribile), c’era anche Liviu Dragnea, leader socialdemocratico e presidente della camera dei deputati. Nonché leader de facto del governo. Tutti dicono che Viorica Dancila dipende da lui e dai suoi ordini. Il decreto, giustificato dal governo come uno svuota-carceri, avrebbe cancellato la condanna a un anno, con detenzione sospesa, rimediata da Dragnea per aver tentato di manipolare il referendum sull’impeachment dell’ex presidente Traian Basescu, tenutosi nel 2012 e fallito per mancato quorum.
Dragnea e Iohannis non si sopportano. Iohannis non nasconde il fastidio per l’approccio di Dragnea alla politica, che è quello del potere per il potere, dei piccoli benefici offerti per avere in cambio consenso, della tolleranza nei confronti della corruzione. Dragnea detesta Iohannis perché non fa il presidente-notaio, come per Dragnea dovrebbe invece essere, e perché – soprattutto questo – sin da prima del voto del 2016 aveva detto che non lo avrebbe mai nominato primo ministro, proprio per via di quella vecchia condanna. Cui a giugno se n’è aggiunta un’altra, per abuso d’ufficio. Dragnea ha fatto sapere che ricorrerà in appello.
L’ultimo scontro tra i due si è consumato un mese fa, a luglio, quando il Partito socialdemocratico ha indetto una grande manifestazione per solidarizzare con Dragnea, di nuovo condannato. Gli oratori, dal palco, hanno scagliato dure accuse nei confronti di una certa giustizia e di un certo stato parallelo che vogliono conservare privilegi e impedire al governo di promuovere leggi necessarie, quali la riforma del codice penale e della giustizia. Un pacchetto di misure che per molti, anche all’estero, anche a Bruxelles, svuoterebbe la magistratura di indipendenza. A tutto questo si aggiunge la crociata socialdemocratica contro Laura Codruta Kovesi, direttrice dell’Agenzia nazionale anti-corruzione, personaggio integerrimo e per questo scomodo, che a luglio ha, per qusto, lasciato la carica.
Iohannis è stato molto critico nei confronti della manifestazione socialdemocratica. «In un Paese normale non si dovrebbe scendere in piazza per il governo, il quale ha tutti gli strumenti per risolvere i problemi», aveva detto, bollando la manifestazione come un momento dal sapore un po’ populista e rinnovando la stima per Laura Codruta Koveri. Un’icona positiva per tutto il movimento anti-corruzione. Che nello stesso giorno della manifestazione socialdemocratica ne ha tenuta una di segno opposto, e proprio a favore della titolare dell’anti-corruzione. È stata l’ultima espressione di dissenso nei confronti del governo, prima di quella dello scorso venerdì.
Dopo la grande manifestazione di venerdì repressa dalla polizia, continua la contestazione a Bucarest. Nel mirino il governo socialdemocratico accusato di corruzione. Protagonista assoluta in questi giorni è la diaspora rumena, ma le proteste da tempo riempiono le piazze della capitale