È stato un weekend di proteste, veglie funebri e sangue nel Kashmir meridionale, scosso dall’assassino del comandante Burhan Wani, 22 anni, «eroe» del gruppo separatista Hizbul Mujahideen molto amato dalla popolazione locale. Ucciso nella notte di venerdì dalle forze speciali dell’esercito indiano, le commemorazioni di Wani in tutta la Valle hanno visto la partecipazione di migliaia di kashmiri, repressi nel sangue dall’esercito centrale considerato alla stregua del braccio armato di uno stato invasore.
Wani apparteneva a quella che viene definita la seconda generazione di separatisti armati kashimiri, eredi della guerriglia degli anni ’90 che fece centinaia di morti tra i miliziani decine di migliaia tra la popolazione civile, schiacciata dalla repressione armata di New Delhi. Camillo Pasquarelli, qualche settimana fa, su Eastonline aveva delineato un quadro puntuale e inquietante della situazione kashmira attuale, toccando i punti nevralgici di un risentimento popolare vecchio di quasi 70 anni. L’articolo lo potete leggere qui e vale come precondizione per poter capire meglio quanto segue.
Wani, ucciso nella notte di venerdì, era considerato una sorta di simbolo della nuova generazione di combattenti per la liberazione del Kashmir, occupato dall’esercito indiano all’indomani della Partition del 1947. Proveniva da una famiglia benestante di Tral, nel Kashmir del sud, e a 22 anni aveva tutte le caratteristiche di un ventenne modello del suo tempo: buon gicatore di cricket, conoscenza e uso esperto dei social network, attraverso i quali si era guadagnato una fama a metà tra il sex symbol e il modello di una «meglio gioventù» kashmira decisa a prendere le armi a difesa di un popolo oppresso dalla militarizzazione imposta da New Delhi in sostituzione di un referendum popolare, invocato da decenni, che permettesse ai kashmiri di decidere se e come rimanere parte integrante della Repubblica indiana.
La storia, ormai sfociata nel leggendario, narra di un giovanissimo Wani che solo quindicenne, in risposta a un episodio di ordinaria angheria dei soldati subìto dal fratello, decise di lasciare la propria famiglia agiata e sparire nelle foreste del Kashmir, unendosi alla lotta armata. Nonostante pare non abbia mai partecipato ad alcuna azione armata, la longevità del Wani militante aveva contribuito a creare un’aura leggendaria attorno al ragazzo.
Per questo, con l’omicidio di venerdì, la risposta della popolazione kashmira è stata oceanica. In tutta la valle si sono tenute almeno una decina di commemorazioni funebri, partecipate da migliaia di persone che inneggiavano all’azadi (libertà, in urdu) dal governo di New Delhi.
La risposta delle forze dell’ordine indiane è stata in linea con la sistematica repressione del dissenso in Kashmir: coprifuoco, sospensione delle comunicazioni telefoniche e internet per tutto il weekend, militari per le strade a fronteggiare i manifestanti.
Nei numerosi scontri tra chi protestava disarmato o armato di pietre e l’esercito, alla mattinata di lunedì il bilancio delle vittime è fermo a 30; 29 civili e un soldato.
Una spirale di violenza che continua a impedire l’apertura del dialogo, unica via d’uscita dal pantano kashmiro che da cinquant’anni insanguina la valle.
@majunteo
È stato un weekend di proteste, veglie funebri e sangue nel Kashmir meridionale, scosso dall’assassino del comandante Burhan Wani, 22 anni, «eroe» del gruppo separatista Hizbul Mujahideen molto amato dalla popolazione locale. Ucciso nella notte di venerdì dalle forze speciali dell’esercito indiano, le commemorazioni di Wani in tutta la Valle hanno visto la partecipazione di migliaia di kashmiri, repressi nel sangue dall’esercito centrale considerato alla stregua del braccio armato di uno stato invasore.