Anche Iraq ed Ecuador paralizzati dai cittadini scesi in piazza. Dall’alto costo della vita alla corruzione, temi comuni
I Governi di Baghdad e Quito si ritrovano a dover fronteggiare una forte ondata di proteste che ha portato Iraq ed Ecuador allo stallo. La situazione più critica sembra quella irachena, dove almeno 110 persone hanno perso la vita e i feriti hanno raggiunto l’esorbitante numero di 6000. Nel Paese sudamericano, sono due i morti accertati e quasi seicento gli arresti avvenuti in seguito agli scontri con la polizia: per via delle violenze, il Presidente Lenín Moreno ha persino optato per lo spostamento del Governo dalla capitale alla città di Guayaquil, sulla costa.
I morti in Iraq raccontano una vera e propria guerra. Per ben sette giorni, giovani cittadini sono scesi in piazza per protestare contro la crescente disoccupazione, che non permette loro un futuro, e la corruzione dilagante in ogni settore della società. Una rabbia che, sommata alle tensioni regionali, ha come obiettivo non solo il Governo di Adel Abdul Mahdi, ma anche le autorità del confinante Iran.
Infatti, l’elemento anti-iraniano è ampiamente presente nelle proteste di Baghdad, tanto che persino la Guida Suprema Ali Khamenei è intervenuta sugli scontri, scrivendo: “Iran e Iraq sono due nazioni che hanno cuore e anima uniti grazie alla fede in Dio e l’amore per l’Imam Hussain. Il legame” — ha spiegato Khamenei — “crescerà sempre di più giorno dopo giorno. I nostri nemici hanno provato a seminare discordia, ma hanno fallito e la loro cospirazione non avrà effetti.”
Il Primo Ministro Mahdi ha tentato a calmare gli animi con alcune promesse, dai finanziamenti per le infrastrutture alla potabilizzazione delle acque. Ma il leader iracheno dovrà spiegare il perché delle numerosi morti avvenute nei giorni scorsi: varie testimonianze confermano che i manifestanti sono stati uccisi da cecchini appostati nei palazzi attorno ai luoghi delle manifestazioni. Lo stesso esercito ha espresso cordoglio per i caduti, ammettendo un eccesso nell’uso della forza.
In Ecuador le manifestazioni sono iniziate il 3 ottobre e proseguono fino a oggi. Tra i protestanti, anche gli indigeni che, come già accaduto in passato, possono essere estremamente decisivi a livello elettorale. Almeno 6000 membri del gruppo indigeno CONAIE si sono mobilitati per scendere in piazza, contestando la decisone di Moreno d’aver dichiarato lo stato d’emergenza e imposto il coprifuoco. “È una dittatura militare”, hanno dichiarato esponenti della sigla.
Tutto parte dall’eliminazione dei sussidi sul carburante, che ha portato ad aumenti sul prezzo che variano tra il 20% e il doppio del valore iniziale. L’obiettivo è la diminuzione della spesa pubblica, ma con tale mossa Moreno rischia di mettere in ginocchio non un solo settore ma l’intero sistema economico del Paese. La decisione arriva all’interno delle misure richieste dal Fondo Monetario Internazionale per il prestito ricevuto da Quito, pari a 4,2 miliardi di dollari.
@melonimatteo
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