Il conflitto a bassa intensità va avanti da decenni, ma un’escalation è in corso, a colpi di sconfinamenti e bordate verbali. Ankara denuncia il Trattato di Losanna che nel 1923 tracciò la frontiera. E un impossibile “scambio di prigionieri” tra soldati greci e generali turchi infiamma la crisi
«Nessuno scambio di prigionieri». Era stato chiaro il vicepremier turco Bekir Bozdag la scorsa settimana, parlando dell’ultimo incidente tra Grecia e Turchia.
Il riferimento è agli otto generali golpisti che Atene si rifiuta di estradare perché, dice il giudice ellenico, il processo non sarebbe equo. I prigionieri sono due soldati greci arrestati nel nord-est della Turchia ai primi di marzo perchè accusati di aver sconfinato. Dopo l’hayir (no in turco)della corte al rilascio perché i due sono sospettati di spionaggio. Bozdag aveva detto niente scambi di prigionieri ma alla fine è stato proprio Recep Tayyip Erdogan, nel weekend a lanciare ufficialmente la proposta: distensione tra i due Paesi, a patto che la Grecia consegni gli otto ufficiali golpisti. La risposta da Atene non si è fatta attendere: l’oxi (no in greco) è categorico e la proposta oltraggiosa. E l’escalation tra i due Paesi così sembra destinata a crescere.
Perché nonostante un tentativo di riavvicinamento lo scorso dicembre con la storica visita di Erdogan ad Atene, la prima per un presidente turco in 65 anni, alle questioni aperte da tempo come quella di Cipro e degli equilibri nel Mediterraneo sud orientale, se ne sono quindi aggiunte di più recenti.
A conferma del periodo turbolento c’è sicuramente l’intensificazione dell’attività militare sui cieli dell’Egeo. Le provocazioni in cielo e in mare nel Mediterraneo, tra le centinaia di isole che ritagliano la complessa frontiera meridionale ellenico-turca, sono la testimonianza di un conflitto a bassa intensità che va avanti da decenni con oggetto una sedimentazione di dispute che con alti e bassi hanno scritto la storia delle relazioni tra i due Paesi.
Solo a gennaio, ad esempio, si è rischiato il bis di una crisi che nel 1996 aveva portato i due vicini difficili sull’orlo di un conflitto armato: il ministro della Difesa del governo Tsipras, Panos Kammenos, leader di Anel, il partito populista in coalizione con Syriza, è stato allontanato dalla capitaneria di porto turca mentre approcciava le isole Kardak, un gruppetto di isolotti disabitati di cui i due Paesi si contendono la sovranità.
Se episodi simili nell’Egeo sono abbastanza frequenti, le incursioni nei rispettivi spazi aerei sono addirittura la norma: si parlerebbe nell’ordine delle migliaia ogni anno, stando a quanto sostiene l’aviazione greca, con un numero raddoppiato nel 2017.
Questi incidenti sono di solito senza vittime ma, la settimana scorsa, un aereo militare ellenico è caduto, causando la morte del pilota di ritorno da una ricognizione nell’area di Lesbos dove, stando ad Atene, F16 turchi avrebbero violato il loro spazio aereo. Ankara, al contrario, nega di aver svolto quel giorno attività nell’area.
L’Egeo è senza accordi internazionali condivisi: le due parti non hanno mai trovato accordi sulla piattaforma continentale, sul limite delle acque territoriali e sullo spazio aereo.
Difficile dire se quest’ultimo incidente avrà delle conseguenze, certo è che la retorica e l’aggressività verbale tra le due parti hanno raggiunto negli ultimi tempi toni preoccupanti anche per lo standard delle relazioni pubbliche greco-turche, non certo improntate alla moderazione. Erdogan, ad esempio, ha detto a dicembre di volere rivedere il Trattato di Losanna del 1923, la convenzione che ha disegnato la frontiera turca – assegnando quasi tutte le isole dell’Egeo alla Grecia – dopo la caduta dell’Impero Ottomano, perché ingiusto con il suo Paese. Kammenos, da parte sua, ha annunciato qualche giorno fa il rafforzamento del contingente alla frontiera, con il dispiegamento di altri 7000 soldati contro «il nemico turco».
La guerra dei nervi non si ferma alla frontiera, almeno non a quella formale, ma prosegue anche su altri tavoli. Il negoziato infinito per Cipro saltò nuovamente nel 2017 a causa dell’intransigenza turca, sostengono da Atene, mentre le ragioni più probabili vanno ritrovate nella complessa partita a scacchi per i giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale.
Così le azioni di disturbo della marina militare turca contro le esplorazioni delle compagnie petrolifere a largo di Cipro – messe in atto di recente anche a spese dell’Eni – sono state la conseguenza della possibile esclusione di Ankara dall’accordo tra Grecia, Israele, Egitto e la repubblica di Cipro. Nicosia (sud) non ha voluto attendere l’eventuale risoluzione della disputa e la Turchia non ha tardato a farsi sentire.
La situazione non è da sottovalutare ma gli interessi comuni sono riusciti, fino ad oggi, a scongiurare nei momenti di massima tensione il rischio di un conflitto armato. C’è la questione dei migranti: Atene non può permettersi che l’accordo sui rifugiati salti e l’appartenenza comune alla Nato ha giocato fino ad oggi un ruolo decisivo nello scongiurare una guerra tra i due Paesi. Ufficialmente il segretario generale Stoltenberg si è limitato a commentare l’escalation dell’ultimo periodo con un laconico «risolvano la questione tra di loro». Il Patto atlantico, insomma, vuole restare per ora fuori dalle beghe tra i due litigiosi vicini ma la situazione esplosiva nel sud-est del Mediterraneo non consente alla Nato di ignorare le disastrose conseguenze di un eventuale conflitto tra i suoi alleati nella regione.
@msfregola
Il conflitto a bassa intensità va avanti da decenni, ma un’escalation è in corso, a colpi di sconfinamenti e bordate verbali. Ankara denuncia il Trattato di Losanna che nel 1923 tracciò la frontiera. E un impossibile “scambio di prigionieri” tra soldati greci e generali turchi infiamma la crisi
«Nessuno scambio di prigionieri». Era stato chiaro il vicepremier turco Bekir Bozdag la scorsa settimana, parlando dell’ultimo incidente tra Grecia e Turchia.