Crisi d’identità e di “mission” rischiano di condurre la Nato a un’uscita dalle scene del potere internazionale. Solo un serio aggiornamento può salvarla.
L’amore degli Stati Uniti per la Nato è definitivamente sparito negli anni novanta del secolo scorso, ai tempi della guerra del Kossovo contro la Serbia. In quell’occasione gli Usa realizzarono come, nonostante il loro riconosciuto strapotere e la posizione di incontrastata leadership di cui godevano nei confronti degli altri paesi membri, portare in guerra un’Alleanza significasse necessariamente battersi “by Committees“. Cioè in modo condizionato da decisioni collegiali, spesso influenzate più da considerazioni politiche che da imperativi operativi .
In particolare in quell’occasione tanto il North Atlantic Council che riuniva gli Ambasciatori presso il Quartiere Generale della Alleanza, quanto il Military Committee, il massimo organo tecnico che da lui dipendeva, pretesero dopo le “sbavature” americane del bombardamento dell’Ambasciata Cinese di Belgrado nonché della televisione serba, di dire la loro anche sulla scelta dei bersagli, esercitando diritti di veto con una frequenza che agli Usa parve eccessiva.
Il risultato fu che nell’occasione seguente, vale a dire dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York, l’America rifiutò l’aiuto dei paesi alleati che avevano subito investito il caso della solidarietà collettiva prevista dall’articolo 5 del Trattato, preferendo andare a combattere da sola in Afghanistan. Salvo poi richiamare l’Alleanza più tardi allorché, come diceva il Segretario alla Difesa Usa Rumsfeld, “non era più necessario pensare alla cena ma semplicemente a pulire la cucina”.
Si trattò di un colpo da cui l’Alleanza, ridotta ad Organizzazione delegata a fornire a tutti gli Stati membri un addestramento militare comune, nonché a serbatoio da cui attingere forze per eventuali “coalizioni dei volonterosi”, non si è mai più completamente riavuta. Così come essa non ha mai completamente recuperato il fatto di avere perso il ruolo di importante foro di discussione politica che ricopriva dai tempi del “Rapporto dei tre saggi ” degli anni ’50.
A ciò si sono aggiunte inoltre le nefaste conseguenze di una politica di esclusione e confronto portata avanti con ostinazione nei riguardi del vecchio nemico anche nel momento in cui, a seguito della dissoluzione prima del Patto di Varsavia, poi dell’Urss, esso non appariva più in condizione di nuocere ma avrebbe anzi avuto un disperato bisogno di aiuto.
Anziché aprire le proprie porte a Mosca e ad una pace che risultasse accettabile per il vinto oltre che per il vincitore, la Nato si concentrò così in una corsa all’espansione verso est che non poteva suscitare altro che allarme in chi vedeva il nemico di ieri avanzare di alcune migliaia di chilometri in direzione della propria capitale a colpi di estensione della membership atlantica a nuovi Paesi.
Per sopra misura poi l’ansia di completare la corsa in avanti prima che la Russia potesse recuperare ed in qualche modo opporsi portò la Nato, e sulla sua scia l’Unione Europea, ad aprire senza condizioni le porte a paesi immaturi, ben decisi a sfruttare ogni vantaggio che potesse venire dall’adesione alle due Organizzazioni rifiutando nel contempo la condivisione degli svantaggi che ciò poteva comportare. L’ Alleanza si trovò così divisa fra “vecchia” e “nuova Europa “, qualcosa che faceva forse il gioco degli ambienti neo conservatori americani ma non ne rafforzava certo l’interna coesione.
Essenzialmente sotto la spinta americana, condizionata in parte anche dalle nevrosi anti russe dei paesi che un tempo avevano fatto parte dell’Europa sovietica, la Nato ha così persistito nella sua scelta anti Mosca, arrivando a registrare due umilianti battute di arresto alla sua espansione, prima in Georgia poi in Ucraina, e a trascurare, per concentrare tutte le proprie energie ad est, quel fronte sud che l’instabilità e il terrorismo islamico stavano evidenziando come il più pericoloso.
A questi elementi di crisi, acuitisi negli ultimi tempi, da un lato a causa dell’atteggiamento del Presidente Trump che non perde occasione per criticare l’Alleanza ed esprimere senza riserve la scarsa fiducia che nutre negli alleati, dall’altro dall’affermarsi in Europa di forze che chiedono a gran voce una rapida normalizzazione delle relazioni con la Russia di Putin, si aggiunge ora anche il problema della Turchia.
Sino a ieri essa era stata considerata un vero e proprio pilastro della Nato, che arricchiva di una componente islamica destinata a facilitarle influenza e penetrazione in Nord Africa e nel Medio Oriente. Le sue Forze Armate erano inoltre valutate come le più grandi e valide di quel fronte sud che discontinuità politiche e territoriali indebolivano al punto da farlo definire come “il ventre molle della Alleanza” .
La tormentata affermazione di Erdogan negli ultimi anni e il progressivo indurimento del suo regime hanno però notevolmente inciso su questa situazione. Oggi la Turchia non è più una democrazia, ma una “democratura”, che si apparenta più al regime di Putin che alle democrazie degli altri Stati membri del Patto Atlantico. L’approfondimento dei rapporti fra Ankara e Mosca, in particolare modo l’acquisto di missili anti aerei e di reattori nucleari russi da parte dei turchi, preoccupa poi notevolmente il Quartiere Generale di Bruxelles. Infine la reale efficienza delle Forze Armate turche, dopo il fallito tentativo di colpo di stato e le successive massicce purghe promosse dal regime, non è certamente più quella di un tempo, ma appare notevolmente ridotta.
L’Alleanza non ha alcuna regola che indichi come comportarsi in casi del genere e quali eventuali sanzioni infliggere al membro divenuto scomodo sotto parecchi aspetti. Non può così fare nulla nei riguardi della Turchia, salvo macerarsi nell’indecisione e nell’imbarazzo.
Malgrado i toni trionfalistici dei comunicati dei Vertici e la continua ricerca di nuovi settori d’azione, la Nato si presenta quindi oggi come una grande vecchia signora decaduta, sopravvissuta ai tempi del suo reale splendore. Un declino irreversibile? Dipenderà dalla sua futura capacità di rimettersi al passo con i tempi, affrontando realmente i problemi di base e abbandonando finalmente quella piccola cosmetica gabellata per rinnovamento cui si è dedicata nel corso degli ultimi trent’anni!
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Crisi d’identità e di “mission” rischiano di condurre la Nato a un’uscita dalle scene del potere internazionale. Solo un serio aggiornamento può salvarla.