La guerra in Ucraina voluta da Putin potrebbe portare alla “stalinizzazione” della Russia. Così scrive l’Economist, che avvicina il Presidente russo alla figura di Iosef Stalin. Quanto conta il mito sovietico per Putin?
Più che alla “denazificazione” dell’Ucraina, dove peraltro non esiste un regime di questo tipo, la guerra voluta da Vladimir Putin potrebbe portare piuttosto alla “stalinizzazione” della Russia. Si intitola così l’ultimo numero dell’Economist, dove si legge che il Presidente russo, sognando di ripristinare la gloria dell’Impero zarista, “ha finito per ristabilire il terrore di Iosef Stalin”. Non soltanto all’estero, con l’aggressione militare più grave in Europa dal 1939, ma anche in patria.
La repressione delle dimostrazioni per la pace è infatti vasta (oltre 4300 arresti alle proteste di domenica scorsa) e brutale (la polizia picchia e abusa dei manifestanti chiamandoli “nemici della Russia”, come ha riportato Novaya Gazeta, uno dei pochi giornali liberi). La censura si è fatta ancora più forte, con incarcerazioni di giornalisti, chiusure degli spazi indipendenti e blocchi di alcuni social network. Per nascondere all’opinione pubblica la realtà del conflitto – che il Cremlino non chiama “guerra” ma “operazione militare speciale” – è stata approvata una legge che punisce con la detenzione fino a quindici anni chiunque diffonda notizie diverse da quelle, false, della propaganda di stato.
Secondo l’Economist, tanta violenza è il risultato della situazione sul campo in Ucraina: l’invasione non ha condotto la Russia a quella vittoria rapida che forse si aspettava; la resistenza civile è fortissima anche nelle aree russofone, proprio quelle che nei calcoli del Cremlino avrebbero dovuto accogliere le truppe di Mosca. Per piegare queste popolazioni, allora, la Russia sta puntando sulla devastazione e sull’instillamento del terrore. Il bombardamento dei reparti di pediatria e maternità di un ospedale a Mariupol è un esempio di questo cambio tattico. Che tra l’altro dimostra l’inconsistenza della teoria di Putin, secondo cui i russi e gli ucraini sono “un solo popolo”.
Putin, in realtà, sta colpendo anche il suo stesso popolo. Il soffocamento delle proteste, la stretta censoria, la chiusura delle aziende straniere e più in generale i danni economici provocati dalle sanzioni internazionali stanno danneggiando innanzitutto la classe media e i giovani, che sono il motore della crescita ma anche quelli meno sensibili al fascino della retorica di potenza. “In termini politici e sociali”, scrive l’Economist, “potrebbe essere necessario tornare indietro di quasi un secolo per trovare un parallelo [con la situazione attuale, ndr]: al 1929, quando Stalin liquidò la classe imprenditoriale per consolidare il suo potere. La guerra di Putin non è stata progettata deliberatamente per distruggere la classe media urbana e istruita di oggi. Ma le persone e le imprese che danneggia di più sono quelle più integrate nell’economia globale”.
Tuttavia, come spiega il ricercatore Luca Lovisolo, il regime di Putin potrebbe subire un danno strutturale solo qualora si ritrovasse impossibilitato a pagare i suoi veri sostenitori, ovvero i militari, l’apparato burocratico e i pensionati, tra i quali sopravvive il mito sovietico.
Oltre alla gestione delle difficoltà economiche e finanziarie, il Cremlino ha necessità di mantenere il controllo sulla narrazione della “operazione militare speciale”. Un conto però è chiudere televisioni e giornali, un altro è giustificare le perdite umane. I dati ufficiali, rilasciati il 2 marzo, parlano di 498 soldati russi morti; secondo l’intelligence americana sono molti di più, tra i duemila e i quattromila. Verificare queste cifre è impossibile ma – per dare un contesto – in Afghanistan l’Unione sovietica riportò duemila perdite dopo un anno di combattimenti; l’invasione dell’Ucraina è iniziata due settimane fa. Non significa ovviamente che Mosca non possa avere la meglio: la sproporzione di forze è grande e l’armata russa, nonostante le difficoltà, continua comunque ad avanzare.
Al di là dei parallelismi dell’Economist, quanto conta davvero la figura di Stalin e l’esempio dell’Unione sovietica per Putin? Tanto, ma a suo modo. L’ideologia di Putin, intrisa di nazionalismo russo, lo porta infatti a considerare l’Urss non come una federazione di repubbliche socialiste tra loro pari, ma come un organismo che permetteva alla Russia di esercitare la sua egemonia sullo spazio a lei circostante. A riprova di ciò, lo scorso dicembre definì il crollo dell’Unione sovietica come la caduta della “Russia storica” e la perdita “di quanto costruito in mille anni”, riferendosi all’eredità dell’Impero russo. È una visione molto più vicina a quella di Stalin che non di Lenin.
La guerra in Ucraina voluta da Putin potrebbe portare alla “stalinizzazione” della Russia. Così scrive l’Economist, che avvicina il Presidente russo alla figura di Iosef Stalin. Quanto conta il mito sovietico per Putin?