Tre settimane sono trascorse dalla pubblicazione del rapporto inglese che addita Putin come “probabile” mandante dell’omicidio di Aleksandr Litvinenko e a colpire ora è tutto quello che è accaduto dopo la diffusione della notizia: niente.
Un minuto dopo la diffusione del rapporto, l’onda d’urto della notizia aveva fatto scattare tutti gli allarmi della macchina mediatica russa. Le lampadine rosse sulle scrivanie dei direttori si erano accese e le redazioni si erano messe all’opera. Rt, la corazzata della propaganda russa in lingua inglese, aveva stravolto il rullo delle notizie che giravano e aveva concentrato tutte le sue forze contro le parole del giudice Robert Owen.
Peccato che fosse tutto inutile. Perché a metterle a tacere ci hanno pensato i media occidentali. Da soli.
Tra cento anni
Aleksander Goldfarb ha le idee chiare. “I leader mondiali continueranno a stringere la mano a Putin, come hanno fatto con Hitler e Stalin”, ha scritto in un editoriale per il sito d’informazione Gordon. “Il risultato dell’inchiesta è significativo, ma nessuno farà la guerra alla Russia”.
Goldfarb parla perché sa. È lui che ha aiutato Litvinenko a fuggire in Gran Bretagna, è lui che gli è stato affianco nelle ultime settimane di vita, è lui che ha letto il suo testamento morale il giorno della sua morte, quella lettera che indicava Putin come il suo assassino.
Eppure David Cameron, il primo ministro inglese, ci era andato giù duro. “Questo è omicidio di stato”, aveva detto, condannando Putin. Per giunta, un omicidio di un cittadino britannico nelle strade di Londra. Ma chi si si ricorda il documento riservato sgamato nelle mani del consigliere di Cameron, Hugh Powell, mentre entrava al 10 di Downing street? Lì c’era in poche righe la politica inglese verso la Russia: niente sanzioni, no a rafforzamento Nato, né alla chiusura del centro finanziario londinese ai russi.
Secondo Goldfarb gli effetti dell’inchiesta si vedranno tra un secolo. “Tra cento anni i nostri discendenti studieranno sui libri di storia l’epoca del secondo presidente della Federazione russa. E allora saranno elencati i tre grandi successi di Putin: l’annessione della Crimea, l’abbattimento del Boeing Malaysiae l’omicidio di Litvinenko”.
Sovranità
Il silenzio calato sull’esito del rapporto è finora la cosa più grossa che sia accaduta. Forse vale allora la pena ricordare qui, ora le conclusioni del giudice Owen. “Le prove evidenti mostrate nel rapporto stabiliscono un forte quadro indiziario della responsabilità dello Stato russo nella morte di Litvinenko. Molti testimoni che hanno fornito prove durante l’inchiesta hanno manifestato la loro certezza del diretto coinvolgimento di Putin nell’assassinio”.
Owen per arrivare alle sue conclusioni segue la pista del polonio 210. L’isotopo radioattivo “è prodotto dalla Rosatom, l’industria atomica di Stato. Per trasferirlo all’Fsb ci vorrebbe un’autorità superiore, e l’unica che potrebbe autorizzarlo è l’amministrazione presidenziale”. Il giudice dice che “prendendo in considerazione tutte le prove e le analisi a mia disposizione, ritengo che l’operazione dei servizi segreti russi per uccidere Litvinenko sia stata presumibilmente approvata dal capo dell’Fsb Patrushev e dal presidente Putin”.
Anche con un quadro indiziario così forte è possibile che abbia ragione Goldfarb. Ma forse più di tutti aveva ragione lo stesso Litvinenko. “Capisco che l’Occidente voglia il gas e il petrolio dalla Russia e la fiducia non può essere scambiata con gas e petrolio”, ha detto una volta. “Ma quando un politico mercanteggia su questo deve aver chiaro che mercanteggia sulla sovranità del proprio Paese”.
@daniloeliatweet
Tre settimane sono trascorse dalla pubblicazione del rapporto inglese che addita Putin come “probabile” mandante dell’omicidio di Aleksandr Litvinenko e a colpire ora è tutto quello che è accaduto dopo la diffusione della notizia: niente.