Il trionfo del tycoon americano, candidato preferito di Mosca, non era stata previsto neanche dal Cremlino. Che era già pronto a screditare il risultato delle urne e invece ha dovuto cambiare piano.
Una pragmatica cautela aveva suggerito di tenere le bocche cucite ai piani alti del Cremlino nelle ultime ore prima del voto. Così era stato lasciato ai mezzi d’informazione governativi sparare gli ultimi colpi per screditare il futuro presidente degli Stati Uniti, ossia la favorita Hillary Clinton.
Ma quando ormai era chiaro che alla Casa Bianca sarebbe andato Trump, il migliore dei candidati possibili per la Russia, le tv hanno dovuto fare marcia indietro e celebrare il nuovo presidente degli Stati Uniti. I membri della Duma sono scoppiati in un applauso alla notizia e molti politici si sono lanciati in dichiarazioni di giubilo.
Putin, invece, si è limitato a un tweet di congratulazioni e a una breve dichiarazione dai toni molto diplomatici. Una dichiarazione simile a quella di molti altri leader mondiali che fino a poche ore prima avevano dato il loro supporto a Clinton.
Dopo il caloroso endorsement e i complimenti all’ex candidato meno favorito, il profilo basso di Putin può sorprendere. Ma non dovrebbe.
Trump in prigione
«Abbiamo ascoltato le dichiarazioni fatte dall’allora candidato alla presidenza degli Stati Uniti in campagna elettorale, improntate al ripristino delle relazioni tra Russia e Stati Uniti. Lo comprendiamo e siamo consapevoli che questo sarà un cammino non facile, in ragione dello stato di deterioramento in cui purtroppo si trovano ora le relazioni tra USA e Russia», ha detto Putin a Trump e agli americani. Un augurio piuttosto tiepido per quello che pochi mesi prima aveva definito «Un uomo dal grande talento, il leader assoluto della corsa alle presidenziali».
La vittoria di Trump, non c’è dubbio, è un elemento favorevole per il Cremlino. Un evento sperato e per cui la Russia si è spesa, ma in cui nemmeno Putin credeva fino in fondo. Un evento che ha colto anche lui di sorpresa. E che ora non può essere celebrato con troppa enfasi, semplicemente perché rischierebbe di ricordare ai russi che una cosa del genere da loro non potrebbe mai accadere.
Perché Trump alla Casa Bianca, che piaccia o no, è il risultato della democrazia. Quella democrazia che manca ogni giorno di più in Russia. Un Paese in cui un miliardario che si opponesse all’establishment – che in russo chiameremmo “apparat” – e manifestasse anche solo l’intenzione di candidarsi in politica, finirebbe in gattabuia. Vedi alla voce Khodorkovsky.
Va bene, insomma, Trump. Va benissimo. Però zitti zitti a gioire.
Niente più «male minore»
E così si sono dovuti adeguare pure giornali e tv. E cambiare piano. Che fine hanno fatto le accuse di brogli fatte da Dmitry Kiselyov – il frontman della macchina da guerra dell’informazione russa – solo domenica scorsa nella sua trasmissione sul canale di Stato, Rossyia? «I giochi dei nostri governanti negli anni 90 sembrano un gioco da ragazzi in confronto a quello che sta succedendo in America», aveva detto prospettando un risultato elettorale illegittimo e un presidente eletto che sarebbe stato un’anatra zoppa sin dal primo giorno. Pensava a Clinton.
E ancora, che «È stata la campagna elettorale più sporca della storia degli Usa. Tanto disgustosa e ripugnante che è assurdo parlino ancora di democrazia in America». Adesso, ci dirà Kiselyov dov’è la democrazia?
Anche RT, l’all news internazionale conosciuto prima come Russia Today, aveva fatto uso della sua tecnica collaudata di una scelta accurata delle notizie da pompare – anche senza manipolarle – e di quelle da ignorare per fare campagna contro Clinton. La copertura mediatica riservata alle presidenziali, poi, era stata riassunta nello slogan «il male minore», mentre lo speciale sulle elezioni portava un titolo beffa: «Hilarious for America». Anche loro si preparavano a Hillary presidente.
Ma da quando la storia è cambiata, del male minore non c’è più traccia e in America non c’è più niente di «hilarious».
@daniloeliatweet
Il trionfo del tycoon americano, candidato preferito di Mosca, non era stata previsto neanche dal Cremlino. Che era già pronto a screditare il risultato delle urne e invece ha dovuto cambiare piano.