Il comunicato congiunto di Stati Uniti, Australia, India e Giappone lancia un forte messaggio a Pechino, ma non delinea un quadro unitario di reazione verso Mosca
Il Quad cresce e matura, diventando sempre più realtà centrale nel contenimento della Cina nell’Indo-Pacifico. Nell’area si focalizzano oramai i principali interessi delle potenze mondiali, Unione europea compresa, e il meeting di Tokyo tra i leader di Stati Uniti, Australia, India e Giappone è stato della massima importanza per capire come procedere nel prossimo futuro. Con iniziative concrete relative al contrasto della pesca illegale, del traffico di esseri umani, del passaggio di milizie militari non convenzionali e, ultimo ma non meno importante, il libero e aperto Indo-Pacifico, frase ricorrente indirizzata a un solo attore protagonista: il Partito comunista cinese.
Come implementare le suddette misure in maniera realmente efficace? Con l’Indo-Pacific Partnership Maritime Domain Awareness. Con il progetto, dal nome altisonante ma che risponderà alle crescenti esigenze del Quadrilateral Security Agreement, verranno utilizzate tecnologie satellitari connesse agli esistenti centri di sorveglianza a Singapore, in India e nel Pacifico a Vanuatu e nelle Isole Solomone. Col supporto di tali strutture, verrà creato un sistema di controllo per indirizzare il problema della pesca illegale, ma che sarà utile in generale per il controllo del traffico marittimo. Con occhio di riguardo proprio verso la Cina che, come ricordato da Charles Edel del think-tank Csis, “è diventato il più grande predatore di pesca illegale”.
Joe Biden, il nuovo Primo Ministro australiano Anthony Albanese alla prima uscita internazionale, Narendra Modi e Fumio Kishida hanno convenuto nell’opposizione “ad azioni coercitive, provocative o unilaterali che cercano di modificare lo status quo, aumentando le tensioni nell’area con la militarizzazione delle questioni in discussione, il pericoloso uso dei vascelli della guardia costiera e di milizie marittime, e gli sforzi che vanno a colpire le risorse di altre nazioni con attività di sfruttamento”. Parole durissime e mai pronunciate in questi termini dal gruppo dei quattro Paesi, che segnano un momento di straordinaria tensione anche nell’Indo-Pacifico, sostanzialmente ad un solo giorno di distanza da quanto affermato dal Presidente statunitense sulla difesa di Taiwan.
Ma attenzione: se c’è unità d’intenti verso la questione cinese, non si può dire lo stesso sulla Russia. Per quanto distante geograficamente quanto sta avvenendo in Ucraina, l’impatto delle azioni della Federazione hanno ripercussioni leggibili attraverso il comunicato congiunto dei leader, incapaci di condannare l’azione militare voluta da Vladimir Putin. L’India, infatti, si rifiuta di prendere una netta posizione sull’invasione, che costringe Stati Uniti, Australia e Giappone a scendere a compromessi linguistici e definire semplicemente “tragico” quanto sta avvenendo in Ucraina. Un vero e proprio schiaffo alla popolazione del Paese est-europeo martoriato dall’intervento dell’esercito moscovita. Ma anche una lezione che ci ricorda che nelle relazioni internazionali il compromesso è d’obbligo. E si affianca alla contraddizione pratica di proseguire nelle relazioni con Nuova Delhi nonostante i rapporti stretti che mantiene con la Russia, in nome dell’importanza indiana nell’architettura di contenimento cinese nell’Indo-Pacifico. Business as usual.
Il comunicato congiunto di Stati Uniti, Australia, India e Giappone lancia un forte messaggio a Pechino, ma non delinea un quadro unitario di reazione verso Mosca