Si dice che la cosiddetta «città della censura» di Tianjin sia stata un’idea di Zhang Gaoli, ex boss della città e attualmente uno dei sette privilegiati all’interno del Comitato Permanente del Politburo cinese. Un’idea geniale a suo modo: mettere in un unico luogo tutti i dipartimenti di censura dei colossi web cinesi. La città della censura e i suoi tanti impiegati, dimostrano anche come la «censura» in Cina, non sia solo una necessità scandita dal Partito Comunista, ma anche un business che paga la vita di molti cinesi.
E chi sono dunque questi solerti censori cinesi? Forse vecchi burocrati messi lì a invecchiare, per farli sentire ancora importanti in un momento in cui il Partito, per bocca del suo Segretario Xi Jinping, ha nuovamente tuonato contro l’internet locale? No, sono giovani, laureati, che accettano questo lavoro per circa 350 euro al mese.
Alcuni mesi fa, secondo Jobui, un sito cinese per ricercare lavoro, il salario medio mensile dei censori Internet di Pechino era di 4,081 rmb (512 euro), a Shenzhen di 3, 714 rmb, mentre a Tianjin di 2, 998 rmb.

Secondo quanto riportato dal South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong, «La maggior parte dei censori di Sina Weibo hanno tra i 20 e i 30 anni e guadagnano circa 3mila yuan (370 euro) al mese. Molti hanno ottenuto il lavoro dopo la laurea presso un’università locale». Il turn over è elevato: «la gente abbandona spesso, perché si tratta di un lavoro senza prospettive e stressante per la maggior parte di noi» avrebbe rivelato un ex censore.
In un giorno un censore può anche lavorare 12 ore al giorno, vagliando circa 3mila post a giornata. Sono aiutati da un certo grado di automazione che rimuove di default le parole sensibili note e stranote (Tiananmen, e tante altre date o ricorsi considerati tabù dal Partito) e nel caso in cui gli sfugga qualcosa, possono anche incorrere in multe, sospensioni e addirittura nel licenziamento.
Ci sono poi i periodi da «straordinario»: il 4 giugno ad esempio, ma anche eventi attuali. Durante il processo a Bo Xilai, l’ex leader di Chongqing caduto in disgrazia, pare che i censori cinesi abbiano dovuto lavorare sodo. Circa 100 persone, secondo alcune testimonianze, avrebbero lavorato «senza sosta, per 24 ore».
Si dice che la cosiddetta «città della censura» di Tianjin sia stata un’idea di Zhang Gaoli, ex boss della città e attualmente uno dei sette privilegiati all’interno del Comitato Permanente del Politburo cinese. Un’idea geniale a suo modo: mettere in un unico luogo tutti i dipartimenti di censura dei colossi web cinesi. La città della censura e i suoi tanti impiegati, dimostrano anche come la «censura» in Cina, non sia solo una necessità scandita dal Partito Comunista, ma anche un business che paga la vita di molti cinesi.