Come sottolineato dalla stampa di tutto il mondo, a seguito della pubblicazione dei dati sulla crescita cinese del 2014, siamo di fronte a un rallentamento storico della Cina: l’espansione annua del 7,4 per cento, infatti, è il più lento dal 1990, l’anno dopo Tienanmen, quando oltre allo shock interno, sul paese si riverberò anche lo sdegno internazionale, tradotto in sanzioni economiche. L’economia cinese è cresciuta del 7,7 per cento ogni anno nel 2012 e nel 2013 e fino al 2010 era riuscita a mantenere un tasso di crescita medio di oltre il 10 per cento per oltre 30 anni.
1- Cosa può succedere in futuro?
Il Wall Street Journal non ha dubbi: «È improbabile che il rallentamento del 2014 sia un contrattempo e probabilmente preannuncia un rallentamento prolungato della crescita. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha previsto una crescita del 6,8% per il 2015, così come la banca d’investimento UBS. Altri sono ancora più pessimisti. Oxford Economics prevede il 6,5% – e dice che questa sarà l’ultima volta che la crescita della Cina supererà il 6%».
2- Cosa significherebbe un ulteriore rallentamento nel 2015?
La leadership cinese non è eccessivamente preoccupata, a quanto pare. Il rallentamento dovrebbe permettere ancora aggiustamenti strutturali di natura storica: riforma delle grandi aziende di stato, considerate ricettacolo di corruzione e investimenti sbagliati, e soprattutto una maggior attenzione alla qualità.
La Cina investirà nell’innovazione, per effettuare quel passaggio annunciato da tempo dalla sua leadership: dal made in China al Designed in China. Una svolta epocale. Inoltre va sottolineato un dato: un aspetto determinante per Pechino – e non solo – è avere bassa disoccupazione. In questo momento l’occupazione è sufficiente, garantita da un abbassamento della popolazione in età lavorativa. E questo contribuisce ad accettare tassi di crescita del Pil più lenti.

3- Chi ci perde?
Sicuramente rischia l’indotto di un mercato immobiliare sempre a rischio bolla. Come specifica il Financial Times, «mentre la nazione più popolosa del mondo si avvicina a livelli medi di reddito, il suo modello di crescita guidato dagli investimenti alimentati dal credito, con la sua dipendenza da salari bassi, industrie inquinanti e costruzione di immobili, è a corto di vapore.
Un rallentamento del mercato immobiliare surriscaldato – che ha avuto inizio lo scorso anno – dovrebbe continuare quest’anno. Si tratta di un ulteriore colpo alle industrie come l’acciaio, il cemento e il vetro, che sono affette da sovraccapacità cronica».

4- Che significa per il resto del mondo?
Secondo il Wall Street Journal, un primo settore economico che risentirà di questo rallentamento cinese, dovrebbe essere quello legato alle materie prime, argomento spesso sottovalutato. La Cina è uno dei paesi che importa materie prime e ha «dopato» il mercato, perché la sua insaziabilità di risorse e materie prime ha finito per consentire un boom al mercato.
Ma il rallentamento provoca un abbassamento dei prezzi e «le economie dipendenti dalle materie prime, come la Russia, il Brasile, il Venezuela e l’Angola sono già in difficoltà. Aspettatevi che questo trend continui», specificano al Wsj.
@simopieranni
Come sottolineato dalla stampa di tutto il mondo, a seguito della pubblicazione dei dati sulla crescita cinese del 2014, siamo di fronte a un rallentamento storico della Cina: l’espansione annua del 7,4 per cento, infatti, è il più lento dal 1990, l’anno dopo Tienanmen, quando oltre allo shock interno, sul paese si riverberò anche lo sdegno internazionale, tradotto in sanzioni economiche. L’economia cinese è cresciuta del 7,7 per cento ogni anno nel 2012 e nel 2013 e fino al 2010 era riuscita a mantenere un tasso di crescita medio di oltre il 10 per cento per oltre 30 anni.