Con l’accordo di libero scambio la regione guarda al futuro. Per l’Onu potrebbe diventare il centro di gravità dell’economia mondiale. Si parla di circa il 90% di tariffe abbattute, ma non mancano questioni da risolvere
Il Regional Comprehensive Economic Partnership è la nuova sfida al protezionismo e agli alti dazi commerciali ancora esistenti, che ha l’obiettivo di integrare maggiormente le economie dei 15 Paesi che hanno aderito all’iniziativa. Australia, Brunei, Cambogia, Cina, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Laos, Malaysia, Myanmar, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam guardano al futuro, dopo una serie di round negoziali che si sono svolti nel bel mezzo della crisi pandemica che, in qualche modo, ha agevolato l’interesse delle nazioni partecipanti ad arrivare a un accordo nella speranza che il Rcep possa trasformarsi in volano per la crescita e la ripresa dopo la crisi.
La pandemia da Coronavirus si è aggiunta alle tensioni di un’area, quella dell’Asia-Pacifico, di crescente interesse geopolitico. Tra i membri del Regional Comprehensive Economic Partnership sono presenti nazioni in aperto scontro su numerosi fronti, spesso con unico comune denominatore la Cina. Pechino è accusata, ad esempio, dalla Malaysia e dalle Filippine di ripetuti sconfinamenti nelle acque territoriali nel Mar Cinese meridionale, così come è ormai in aperto contrasto con l’Australia e il Giappone per essere su posizioni ben distanti rispetto alla sicurezza nel Pacifico.
L’importanza dell’accordo la si può trovare nel Pil rappresentato dalle economie dei Paesi sottoscriventi: si tratta del 30% della ricchezza mondiale e di circa 2.2 miliardi di abitanti. Secondo il dipartimento al commercio delle Nazioni Unite, lo scambio interregionale tra gli Stati potrebbe arrivare a 42 miliardi di dollari, con Cina, Giappone e Corea del Sud tra i principali beneficiari.
Per alcuni analisti, il trattato è stato realizzato su misura per Pechino, potendo offrire al Partito comunista “accesso libero da tariffe ai mercati in Giappone e Corea del Sud e, allo stesso tempo, importare dai mercati utili alla supply chain manifatturiera cinese”, ha commentato a DW Rolf Langhammer, già ex vice Presidente del Kiel Institute for the World Economy. Secondo l’economista, è comunque una possibilità per l’Asia di recuperare il ritardo nell’interconnessione commerciale, già esistente, tra tutti gli esempi possibili, in un’area del mondo come quella dell’Ue.
Con il Rcep, si parla di circa il 90% di tariffe abbattute. Per l’Onu, il Regional Comprehensive Economic Partnership potrebbe diventare il centro di gravità dell’economia mondiale. Ciononostante, si è ancora agli inizi: come ricordato dal Ministro per il Commercio di Singapore, San Kim Yong, “c’è tanto da fare, non è sufficiente l’entrata in vigore e la sua sottoscrizione”. Infatti, secondo il Ministro questo è solo il primo passo per arrivare alla condivisione e alla reale comprensione di ciò che si potrà ottenere dall’accordo.
Ma alcuni aspetti del Regional Comprehensive Economic Partnership rimangono irrisolti: in primis, non esistono garanzie chiare sulla tutela dell’ambiente né in materia della protezione dei lavoratori. Un aspetto decisivo per un accordo funzionale a un periodo storico nel quale si va incontro all’abbattimento delle emissioni nocive per il pianeta e, ancor di più, all’allargamento dei diritti delle persone.
In secondo luogo, rispetto al Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership, il Cptpp, il Regional Comprehensive Economic Partnership non porta a una riduzione altrettanto considerevole delle tariffe né tocca lo stesso numero di ambiti. Il Cptpp, più ampio a livello regionale, include standard per l’ambiente e tutele per i lavoratori, arrivando all’eliminazione del 99% delle barriere tariffarie sull’import tra Paesi membri.