Dopo una vita passata nel Regno Unito, centinaia di immigrati dalle ex colonie sono stati deportati, detenuti o minacciati di espulsione. Ora May corre ai ripari, ma il caso rivelato dal Guardian getta una luce inquietante sulle politiche di Londra. E fa tremare anche gli europei
Antefatto
Il 21 giugno 1948 la nave Empire Windrush attracca al porto di Tilbury, vicino Londra, con un carico di 1027 passeggeri. 492 sono caraibici. Il loro sbarco è immortalato nelle immagini della British Pathe: sono vestiti con ricercatezza, in giacca e capello, come per una occasione speciale.
Il parlamento britannico ha appena approvato il British Nationality Act, che estende la cittadinanza britannica agli abitanti delle colonie dell’impero. Una concessione dettata da due ragioni di realpolitik post bellica: il tentativo di sopire le spinte indipendentiste e la necessità di colmare la carenza di lavoratori dopo le perdite di uomini in guerra.
I passeggeri della Windrush hanno il diritto di rimanere a titolo indefinito, senza restrizioni.
Sono il primo nucleo della immigrazione caraibica, in particolare giamaicana, concentrata fra il 1948 e il 1971, che tanto cambierà il volto dell’identità britannica e contribuirà al suo multiculturalismo. E sono comunemente identificati, con i loro figli, con il termine di Windrush generation. Diventano autisti, infermiere, cuochi, ma anche amministratori, intellettuali, uomini politici.
28 novembre 2017
Una tenace giornalista del Guardian, Amelia Gentleman, pubblica la prima di una serie di storie sul destino di alcuni figli della Windrush generation: Paulette Wilson, arrivata a 10 anni, nel 1968, dalla Giamaica nel Regno Unito. Dopo 50 anni di lavoro (l’ultimo nelle cucine della House of Commons) e una figlia nata e cresciuta qui, riceve una lettera dal ministero degli Interni che la informa che la sua permanenza è illegale e che deve prepararsi a tornare in Giamaica, che dopo il suo arrivo non ha mai nemmeno visitato.
Paulette perde la casa. A ottobre, passa una settimana in un centro di detenzione per immigrati illegali. Si salva dalla deportazione solo per l’intervento di un parlamentare.
Il Guardian approfondisce e scoperchia un vaso di Pandora di casi simili a quello di Paulette. Ne scova decine, poi centinaia. Eleanor Rogers, 71 anni, arrivata dalla Sierra Leone nel 1966. Ha perso i documenti originari e le viene richiesto di dimostrare la sua permanenza di 51 anni o tornare in una patria che non conosce. Un 89enne ex autista di autobus che si concede per la prima volta un viaggio a Granada, che ha lasciato 60 anni prima, e scopre di non poter tornare a casa nel Regno Unito perché non può provare il diritto di residenza.
Michael Braithwaite, 66 anni, insegnante di sostegno, licenziato dopo 56 anni in UK. Albert Thompson (pseudonimo), 63 anni di cui 44 nel Regno Unito, a cui l’Nhs, dopo aver scoperto che non ha i documenti in regola, vengono negate urgenti cure anticancro.
Cosa è successo? Nel corso degli ultimi decenni, forti ondate anti-immigrazione hanno attraversato la società e la politica britannica, portando ad un cambiamento dei requisiti per la cittadinanza, ad un irrigidimento della legge sull’immigrazione e ad un inasprimento delle conseguenze in caso di permanenza illegale.
Le leggi sono cambiate, ma alcuni figli della Windrush generation, arrivati con pieni diritti e convinti di essere cittadini britannici a pieno titolo, non hanno mai saputo o compreso di dovere fare delle pratiche per ufficializzare la loro posizione. All’inizio, le loro storie sembravano esempi kafkiani di labirinti burocratici.
Ma i casi si susseguono e continuano ad emergere altri elementi: il ministro degli Interni avrebbe distrutto, in alcuni casi, i documenti che provavano date di arrivo, residenza, diritti.
Non è ancora chiaro quante persone siano state detenute o deportate, ma quello che emerge con evidenza è un deteriorarsi della situazione a partire dal 2010, quando il ministero degli Interni implementa esplicitamente pratiche e procedure tali da creare un “hostile environment” per gli immigrati, perfino quando questo comporti conseguenze paradossali.
Viene scovato un opuscolo governativo del 2013, in cui si forniscono illuminanti linee guida in caso di deportazione in Giamaica: “Chiamate questo numero se non vi sentite sicuri negli spostamenti in aree non familiari” o “Cercate di essere giamaicani” – usate l’accento locale o il dialetto (un accento britannico potrebbe attirare attenzioni indesiderate).
Scopo dichiarato di questa politica: ridurre entro target definiti il numero di “immigrati” già presenti e scoraggiare nuovi arrivi. Chi era il ministro competente? Theresa May, oggi primo ministro.
Che, solo quando il caso è diventato incontenibile scandalo, si è scusata per i problemi arrecati a queste persone, che ha chiamato “britannici” e di cui ha riconosciuto il prezioso apporto alla cultura e all’economia del Paese.
Ora la patata bollente è passata al ministro degli Interni in carica, Amber Rudd, che per proteggere il capo si sta prendendo responsabilità non sue, e ha implementato una strategia di emergenza, con una hot line di supporto alle possibili vittime, la promessa di concedere loro la cittadinanza gratis e un generico impegno a fornire compensazione per il lavoro, le case e i benefits perduti.
Ma lo scandalo Windrush, secondo molti commentatori, ha sollevato il velo sulla sostanziale xenofobia dei conservatori al governo, a partire proprio da Theresa May, di cui è nota l’ossessione personale per una riduzione dell’immigrazione. Una ossessione sfruttata dal governo Cameron per portare a termine una cruciale missione politica: cavalcare il tema del controllo dell’immigrazione per spuntare le armi dell’Ukip, che in quegli anni teneva il fiato sul collo dei Tories corrodendone i margini di consenso elettorale.
Uno degli effetti collaterali di questa battaglia di politica interna è stato il referendum su Brexit.
E questa storia di burocrazia ottusa e discriminazione deliberata sembra un ponte fra il passato e il futuro delle politiche migratorie britanniche.
In una fase ancora incerta dei negoziati su Brexit, lo scandalo Windrush ripropone il timore profondo dei gruppi che rappresentano i residenti europei nel Regno Unito: che il trattamento Windrush, quando non saranno più protetti dall’Unione europea, possa essere riservato anche ai più vulnerabili fra loro.
@permorgana
Dopo una vita passata nel Regno Unito, centinaia di immigrati dalle ex colonie sono stati deportati, detenuti o minacciati di espulsione. Ora May corre ai ripari, ma il caso rivelato dal Guardian getta una luce inquietante sulle politiche di Londra. E fa tremare anche gli europei