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Regno Unito: il caso della deportazione dei migranti in Ruanda


Il piano, ribattezzato Cash for Humans, prevede una spesa di 177 milioni di dollari per deportare a 6400 km di distanza i richiedenti asilo nel Paese africano. Lo scorso dicembre era già stato bocciato dalla Corte Europea per i Diritti Umani e dalla Corte d'Appello britannica

Iniziano oggi tre giorni di discussioni per la Corte Suprema del Regno Unito, l’organo al quale il Governo britannico ha chiesto la revisione della sentenza sullo stop alla deportazione dei richiedenti asilo in Ruanda, votato dalla Corte d’Appello lo scorso giugno. Va dunque avanti per la strada tracciata — ma pesantemente rallentata dagli organi giuridici — il Primo Ministro Rishi Sunak, nonostante la ferma opposizione del Partito Laburista e di numerose associazioni per i diritti umani, in prima linea contro lo spostamento dei migranti nel Paese africano. Una misura dai costi altissimi, in un momento storico complicato non solo dalle questioni economiche ma anche dalla debolezza politica dell’esecutivo Conservatore, in crisi netta nei sondaggi.

Il piano di deportazione è stato ribattezzato Cash for Humans, prevedendo una spesa di 177 milioni di dollari per deportare a 6400 km di distanza i richiedenti asilo nel Paese est africano, più di 213 mila dollari a persona. Un progetto concretamente mai realizzato, che subì lo stop della Corte Europea per i Diritti Umani, che bloccò all’ultimo minuto un volo pronto a partire per il Ruanda finché la procedura legale non fosse terminata. È bene ricordare che Londra è membro della Convenzione sui Rifugiati, che prevede la possibilità per i richiedenti asilo di essere ascoltati nella loro domanda.

A dicembre 2022 l’Alta Corte ha valutato positivamente l’accordo Regno Unito-Ruanda, ma la decisione è stata portata in appello da cittadini di nazioni quali la Siria, l’Iraq e l’Iran. Un altro organo giuridico, la Corte d’Appello, ha dichiarato che lo spostamento dei richiedenti asilo non sarebbe potuto avvenire nello Stato est-africano. Le motivazioni si basano sul fatto che la nazione africana non può garantire il corretto svolgimento delle udienze per la valutazione delle pratiche di richiesta d’asilo, né offrire sufficiente sicurezza per la vita delle persone. Tuttavia, a giugno i tre giudici non hanno deciso sull’impossibilità di procedere con la deportazione dei migranti in un altro Paese dove le condizioni per l’elaborazione di tali procedure possa sussistere.

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