I giudici ritengono che il Paese africano non sia sufficientemente sicuro per i richiedenti asilo. Un colpo alle politiche migratorie del Governo Conservatore che avvicina le elezioni generali
Se non è un colpo mortale al Governo di Rishi Sunak e alle politiche migratorie della Home Secretary Suella Braveman, ereditate da Priti Patel, poco ci manca. Perché la decisione della Corte di Appello di Londra, che boccia il piano di trasferimento dei richiedenti asilo in Ruanda, non è altro che l’ennesimo esempio di pessima capacità gestionale da parte del Partito Conservatore, che da anni porta avanti, in mezzo alla tempesta, la barca del Regno Unito, prendendo letteralmente acqua da tutte le parti.
Numerosi commentatori parlano di possibile ritorno alle urne, che darebbe finalmente al popolo britannico la chance di decidere sul proprio futuro, con i Laburisti in ampio vantaggio secondo i sondaggi. Una situazione al limite della sopportazione per i sudditi di Sua Maestà, in balìa delle onde oceaniche dei mercati post Brexit, dei tassi d’interesse sempre più alti e di una diffusa povertà. La peggiore delle situazioni, anche in politica estera, dove la special relationship con gli Stati Uniti non sembra vivere uno dei migliori momenti e le questioni annose ancora legate all’Irlanda del Nord che rischiano di travolgere l’apparente calma portata dai Good Friday Agreement.
Un quadro sconfortante, che trova nella lucidità dello stato di diritto tutta la sua potenza. I giudici della Corte di Appello, infatti, hanno ritenuto impraticabile il progetto di spostamento dei migranti nel Paese africano, dato che il Ruanda non può garantire il corretto svolgimento delle udienze per la valutazione delle pratiche di richiesta d’asilo, né offrire sufficiente sicurezza per la vita delle persone. Le Nazioni Unite, tramite l’UNHCR, sono state interpellate sul caso, portando numerose prove a dimostrazione delle inadeguate procedure delle autorità ruandesi; inoltre, i giudici hanno valutato che il sistema d’asilo del Ruanda è talmente scarso che inviare persone nella nazione avrebbe leso il loro diritto a non essere torturate e trattate in forma disumana, con rischi evidenti per la loro stessa vita.
A questo si aggiunge l’assurdità dei costi del piano del Governo Sunak, ribattezzato dagli oppositori Cash for Humans, ovvero la spesa di 177 milioni di dollari per deportare a 6400 km di distanza i richiedenti asilo nel Paese est africano, più di 213 mila dollari a persona. Un progetto concretamente mai realizzato, che lo scorso anno subì lo stop della Corte Europea per i Diritti Umani, che ha bloccato all’ultimo minuto un volo pronto a partire per il Ruanda finché la procedura legale non fosse terminata. A dicembre 2022 l’Alta Corte ha valutato positivamente l’accordo, ma la decisione è stata portata in appello dai richiedenti asilo di nazioni quali la Siria, l’Iraq e l’Iran. In sostanza, la Corte di Appello non ha votato sull’impossibilità di procedere con lo spostamento dei richiedenti asilo in un altro Paese, ma ha dichiarato che questo non può avvenire certamente in Ruanda.
Tanto basta, però, per fermare momentaneamente il piano, da rivalutare profondamente. “Il progetto di deportazione in Ruanda non funziona, non è etico ed è eccessivo”, ha commentato la portavoce per gli affari interni del Partito Laburista Yvette Cooper. Gillian Triggs dell’UNHCR aveva parlato del piano dei Conservatori valutandolo come “approccio neo coloniale”; a luglio scorso Re Carlo avrebbe commentato privatamente il progetto di deportazione, definendolo “scioccante”; l’Arcivescovo di Canterbury ha detto che l’idea “si oppone alla natura di Dio”.