Della telefonata di Matteo Renzi al primo ministro indiano Narendra Modi c’è davvero molto poco da dire e ancora meno da stracciarsi le vesti, partendo da un facile presupposto: questi comunicati non hanno niente a che vedere con la risoluzione della vicenda dei marò.
Ovvero, le formule da equilibrista che escono ad uso e consumo dell’opinione pubblica e della stampa (auspichiamo, la giustizia indiana è libera e indipendente, colloqui a tutti i livelli, congratulazioni, comune interesse) non aggiungono né tolgono nulla allo sviluppo del caso, ma danno l’occasione di evidenziare aspetti – selezionati col metro dell’opportunità del momento – utili per perorare la propria causa.
Come la leggo io da qui, in modalità vacanziera: Renzi, nel pomeriggio dell’11 agosto, tiene ben quattro colloqui telefonici con, rispettivamente, Narendra Modi (India), Raceep Erdogan (Turchia), Mohammed bin Zayed Al Nahyan (Emirati Arabi Uniti) e Barak Obama (Stati Uniti). Nei comunicati striminziti pubblicati sul sito di Palazzo Chigi si elencano i temi delle varie conversazioni: Alitalia, rapporti bilaterali, Libia, Iraq, crescita Europa, Ucraina, Africa, cooperazione internazionale, rilancio rapporti, marò. Tutto nel “pomeriggio” dell’11 agosto.
Le ripartizione del tempo di un pomeriggio su queste quattro telefonate dovrebbe essere un chiaro segno aritmetico dell’inevitabile inconcludenza delle stesse. Renzi ha chiamato Modi non per risolvere la questione dei marò, ma per far vedere a noi italiani che l’Italia sta lavorando – non è dato sapere in che termini – al caso.
La penuria di dettagli, sistematicamente elencati secondo una logica di ambivalenza, danno il là a ogni tipo di speculazione: da Giorgia Meloni che tuona sull’ennesima presa in giro del governo italiano (e indiano) a Danilo Taino sul Corriere che prova ad evidenziare i punti “a favore” della situazione attuale: Modi non è Sonia Gandhi e quindi le trattative potrebbero essere, a rigor di logica, meno complesse.
Ma il dialogo per cercare di arrivare a una soluzione “rapida e positiva” deve sottostare ai tempi tecnici e giuridici indiani, essendo Latorre e Girone di fronte a un procedimento penale già avviato che, in una democrazia (anche altamente imperfetta come quella indiana) non si può cancellare con un colpo di spugna. Punto che ha ribadito lo stesso Modi, sottolinenando la libertà e indipendenza dei giudici indiani.
In definitiva, la telefonata Renzi-Modi non cambia né sposta assolutamente nulla. La diplomazia continua a tessere nella speranza di trovare un accordo (non prima dell’autunno, come indica giustamente Taino) che scongiuri le lungaggini estenuanti dell’arbitrato internazionale, minaccia che l’Italia brandisce contro Delhi più per rassicurare l’opinione pubblica italiana che per intimorire Modi. Un modo di uscire in fretta da questa situazione non esiste.