È il momento della verità per Andrej Babis, il magnate che guida il governo ceco. L’accusa di sottrazione indebita di fondi europei viene rilanciata da suo figlio. Il popolo celebra la rivoluzione di velluto manifestando contro di lui. E venerdì la Camera deciderà del suo futuro politico
Venerdì sarà un giorno di fuoco per il primo ministro ceco Andrej Babis e per il suo partito, Ano 2011, socio di maggioranza della coalizione in carica dall’estate (quello di minoranza è il Partito socialdemocratico). Dovranno infatti affrontare la mozione di sfiducia alla Camera dei deputati, uno dei due rami del parlamento (l’altro è il Senato).
Non è un passaggio semplice. Babis, che governa dalla fine del 2017 (inizialmente ha guidato una coalizione monocolore di minoranza) arriva a questo appuntamento con l’accusa incredibile scagliata contro di lui dal figlio Andrej jr., secondo il quale lo scorso anno fu portato in Crimea – rapito, in pratica – per evitare che testimoniasse nell’indagine, in corso, sulla possibile sottrazione indebita di fondi europei da parte di una delle aziende di Babis, ricchissimo imprenditore dell’agrochimico, oltre che tycoon dei media.
Dopo l’accusa del figlio, Babis ha dovuto subire anche la protesta popolare. Una protesta massiccia, che ha portato decine di migliaia di persone a scendere in piazza, nella capitale Praga, per chiederne le dimissioni. La manifestazione si è tenuta il 17 novembre, data chiave per la recente storia ceca e cecoslovacca. Segna infatti l’inizio della Rivoluzione di velluto, che portò alla fine del comunismo. In quella giornata, la polizia cecoslovacca caricò gli studenti che reclamavano libertà.
Non è casuale che la sollevazione contro Babis si sia tenuta in occasione dell’anniversario. Il 17 novembre è spesso un giorno in cui si protesta contro qualcosa o qualcuno. Nel 2008 ci fu un corteo contro i radar che la Nato voleva installare sul territorio ceco, nel 2011 si alzò la voce contro l’austerity e nel 2014 si chiesero le dimissioni del presidente Milos Zeman, un ex socialdemocratico spostatosi su posizioni ultra-populiste che sostiene Babis e ha già detto che, in caso di sfiducia, gli darà un’altra chance per formare un governo.
Ma essendo questa storia complicata, occorre fare un passo indietro. Si deve partire dalla faccenda dell’ipotetica appropriazione indebita di fondi comunitari, per una somma pari a due milioni di euro, da parte di Agrofert. È il conglomerato di industrie e aziende che fa capo a Babis, pur se quest’ultimo lo ha affidato a un blind trust in virtù di una nuova legge sul conflitto di interessi.
I due milioni di euro sono stati erogati a Čapí Hnízdo (Nido di cicogna), un albergo ecologico, immerso nella natura, controllato da Agrofert. Per ricevere il denaro, Čapí Hnízdo uscì momentaneamente dall’impero di Babis, perché altrimenti non avrebbe mai potuto accedere a quel finanziamento, destinato a piccole e medie imprese. Nel 2013, però, è tornato alla casa madre. Fino a quel momento è risultato intestato al figlio di Babis, a sua sorella Adriana, alla moglie del primo ministro, Monika, e al fratello di lei. In altre parole, Babis avrebbe continuato a controllare il complesso: questo il ragionamento alla base dell’accusa, ancora – va detto – tutta da provare.
Lo scorso anno, a un certo punto, gli inquirenti hanno cercato Andrej Babis jr, invitandolo a testimoniare. L’uomo, di 35 anni, residente in Svizzera da qualche tempo, fece però perdere le tracce di sé, di fatto bloccando l’inchiesta. Nei giorni scorsi, parlando al sito Seznam Zpravy ha svelato un retroscena clamoroso, spiegando che nei giorni in cui avrebbe dovuto essere interrogato si trovava in Crimea, ospite di uno psichiatra, ex collaboratore del padre. Fu proprio lui – Babis Senior, si intende – a imporgli il soggiorno nell’ex penisola ucraina, ora territorio russo, minacciando in caso contrario l’internamento in una clinica psichiatrica. Babis jr. soffre infatti di problemi mentali. Gli stessi problemi che, secondo il padre, lo avrebbero portato a inventare di sana pianta una storia così assurda. Ma il figlio nega: nessuna invenzione, mio padre è un bugiardo.
Il botta e risposta tra padre e figlio ha reso la situazione di Babis, da tempo sotto pressione per via dell’inchiesta, ancora più scottante. Ha portato i cechi, ormai insofferenti per il conflitto di interessi del capo del governo, a scendere in piazza. Mentre i partiti dell’opposizione si sono messi d’accordo per promuovere la mozione di sfiducia di venerdì.
Voteranno sicuramente contro i quindici parlamentari del Partito comunista di Boemia e Moravia, che appoggiano dall’esterno il governo, grazie alla promessa fatta loro da Babis: tassare i beni tornati alla chiesa cattolica dopo il comunismo. Ma a Babis non basta l’aiuto dei comunisti. Ha bisogno anche di quello dei deputati socialdemocratici, anche loro quindici, che sostengono la coalizione. Sono tuttavia molto incerti sul da farsi.
Si aprono due scenari. Se Babis vincesse, continuerebbe a governare, ma resterebbe ostaggio dell’inchiesta, vera e propria bomba a orologeria, e dovrebbe probabilmente concedere ai socialdemocratici qualche ministero più pesante. Se perdesse, il suo grande alleato, il presidente Zeman, gli darà nuovamente la possibilità di formare un governo. Ma non si capisce con chi potrebbe farlo. L’opzione più accreditata, in questo senso, sembra un’alleanza con Libertà e democrazia diretta (Spd), il partito nazionalista, anti-Islam e super euroscettico di Tomio Okamura, ma a quel punto ci sarebbe uno slittamento a destra chiarissimo, e sotto molti aspetti preoccupante. A meno che non si torni al voto, che potrebbe benissimo non risolvere nulla e non dare maggioranze chiare. O persino segnare la fine politica di Babis.
@mat_tacconi
È il momento della verità per Andrej Babis, il magnate che guida il governo ceco. L’accusa di sottrazione indebita di fondi europei viene rilanciata da suo figlio. Il popolo celebra la rivoluzione di velluto manifestando contro di lui. E venerdì la Camera deciderà del suo futuro politico