Un praghese su cento è di origine vietnamita. I primi sono arrivati negli anni ’60 quando la Cecoslovacchia socialista accoglieva gli studenti del Vietnam comunista. Oggi all’economia serve manodopera straniera, ma il governo ceco blocca tutti i visti. Per colpire la criminalità asiatica, dice
Dal 18 luglio di quest’anno la Repubblica Ceca ha smesso di concedere permessi di residenza per motivi di lavoro o per aprire attività commerciali a tutti i cittadini vietnamiti. Una misura straordinaria che va a colpire una comunità numerosa e radicata. Secondo dati 2017 del ministero degli Interni ceco, oggi i 60mila vietnamiti sono il terzo gruppo di stranieri nel Paese, superati solo da ucraini e slovacchi. Un numero che non comprende almeno 5mila vietnamiti di seconda generazione e di cittadinanza ceca. Questi ultimi sono talvolta definiti banánové děti ossia “ragazzi banana”, per via del loro aspetto orientale che nasconde un’identità europea.
Di fatto, oggi, un praghese su cento è di origine vietnamita e la comunità residente in Cechia tende ad essere molto coesa con i primi arrivi che risalgono agli anni ’60 quando l’allora Cecoslovacchia socialista accoglieva volentieri studenti provenienti dal Vietnam comunista. La presenza vietnamita è particolarmente evidente nel distretto di Libuš, alle porte di Praga, dove dai primi anni ’90 sorge Trung Tâm Thương Mại Sapa, un’immensa area commerciale vietnamita che occupa magazzini e piazzali di un ex stabilimento di pollame.
I vietnamiti presenti nel Paese possono contare su un proprio quotidiano online, SécViet (Ceco-Vietnamita), creato nel 2005 come dizionario online da Tran Hung Quan per aiutare i propri connazionali a imparare la lingua ceca. Negli anni, il portale si è evoluto e, nonostante una grafica che resta spartana, è divenuto un punto di riferimento per i vietnamiti presenti in Repubblica Ceca che desiderano tenersi aggiornati su quanto accade a Praga e ad Hanoi nella propria lingua madre.
Rapporti commerciali in crescita fra Praga e Hanoi
La decisione di bloccare l’arrivo di lavoratori vietnamiti in Repubblica Ceca a tempo per ora indeterminato, fatta eccezione per i casi di ricongiungimento familiare, arriva a sorpresa, visti i solidi rapporti commerciali e diplomatici esistenti da tempo fra Praga ed Hanoi. Il 5 luglio i due Paesi avevano siglato un accordo di cooperazione sull’educazione, mentre nei primi cinque mesi del 2018 il volume degli scambi commerciali ceco-vietnamiti è cresciuto del 15,6% rispetto allo stesso periodo del 2017. E, proprio l’anno passato, il giro d’affari complessivo di import ed export fra i due Paesi ha superato per la prima volta il tetto di un miliardo di dollari.
I cechi importano Vietnam soprattutto elettronica e calzature ma anche abbigliamento, prodotti alimentari, chimici e meccanici. Esportano, invece, farmaci, sementi, prodotti plastici e tecnologia militare made in Czechia. Secondo dati della World Bank, nel 2016 il Vietnam è stato il quinto partner commerciale asiatico della Repubblica Ceca per importazioni, precedendo colossi economici come India e Indonesia. Assai meno rilevante, invece, il valore delle merci esportate da Praga ad Hanoi, tanto che il Vietnam è al settimo posto fra i Paesi nel mondo con cui i cechi hanno un saldo di bilancia commerciale in passivo.
Nell’aprile di quest’anno il viceministro degli Esteri di Praga Vladimir Bärtl, in visita ad Hanoi, ha dichiarato: «Il Vietnam e la Cechia sono due porte per l’ingresso dei propri prodotti in Europa e nell’Asia e si aiuteranno sia l’un l’altra che all’interno di Ue e Asean per crescere. La cooperazione economica e commerciale fra le due nazioni deve ancora raggiungere il suo potenziale». In quest’ottica di collaborazione reciproca, spalancare le porte alle merci vietnamite ma sbarrarle ai cittadini asiatici in cerca di lavoro e opportunità di business in Europa sembra una contraddizione.
Eppure non è la prima volta che la Repubblica Ceca adotta decisioni drastiche nei confronti dei vietnamiti. Una misura simile era già stata adottata nel 2008 dall’allora governo Topolánek che aveva bloccato in via temporanea i visti d’ingresso per chi proveniva dal Vietnam con l’obiettivo di combattere la crescente criminalità vietnamita fra Boemia e Moravia. In quella occasione, lo stop ai visti era stato revocato l’anno seguente. La stessa cosa potrebbe accadere in questa circostanza, anche se nessun ministro dell’attuale governo Babiš ha lasciato intendere una riapertura ai visti per lavoratori vietnamiti nei prossimi mesi.
Il blocco ai visti per contrastare la malavita vietnamita
«Questa decisione è stata presa a seguito del numero crescente di richieste di permessi di residenza ricevuta dalla nostra ambasciata ad Hanoi che non riesce più a gestirle ma anche per i rischi segnalatici dal Consiglio di sicurezza nazionale», ha affermato il ministro degli Interni di Praga – e ad interim degli Esteri – Jan Hamáček.
Rischi che erano stati segnalati a giugno dal suo predecessore Lubomír Zaorálek, secondo cui: «il Vietnam è semplicemente crimine organizzato». A detta dell’ex titolare degli Esteri, la Repubblica Ceca è diventata un centro europeo per la produzione su vasta scala di droghe sintetiche come metanfetamina e crystal meth. Un fiorente mercato degli stupefacenti che sarebbe nelle mani di gang vietnamite e cinesi. «Le droghe sintetiche sono il problema più grosso ma, sfortunatamente, ve ne sono altri», aveva aggiunto Zaorálek, sostenendo che «un gran numero di attività finanziarie sommerse gestite da vietnamiti e non soggette a tassazione danneggiano in modo considerevole la nostra economia».
Parole che preoccupano Hanoi.
Tuttavia, il 2 agosto è toccato alla portavoce del Ministero degli Esteri vietnamita, Le Thi Thu Hang, assicurare che: “Crediamo si tratti di un inconveniente tecnico e siamo pronti a cooperare con Repubblica Ceca per individuare le problematiche legate alla concessione di visti per motivi di lavoro e d’affari ai cittadini vietnamiti. Questo ci consentirà di facilitare la cooperazione bilaterale fra due Paesi legati da un rapporto d’amicizia». Anche l’ambasciatore vietnamita a Praga, Ho Minh Tuan, ha assicurato che il blocco dei visti è un tema da affrontare con urgenza.
In attesa di capire se e quando la decisione del governo di Praga sarà revocata, resta la necessità per l’economia ceca di accogliere nuovi lavoratori stranieri. Nel 2017, del resto, la percentuale di disoccupati nel Paese era la più bassa nell’Ue, con appena il 2,5% di senza lavoro secondo i dati del Czso, l’ufficio statistico nazionale.
Il 19 luglio il ministro Hamáček ha rassicurato che le richieste di manodopera straniera provenienti dal mercato occupazionale saranno soddisfatte. Il tutto grazie a un programma ad hoc destinato a ucraini, serbi, mongoli e filippini che otterranno 24mila permessi di lavoro straordinari nell’arco del 2018. Un passo che fa capire come anche la Repubblica Ceca, sulla scia della vicina Polonia, abbia bisogno di migranti economici. Ma sempre scegliendo a chi aprire le porte e a chi no.
@LorenzoBerardi
Un praghese su cento è di origine vietnamita. I primi sono arrivati negli anni ’60 quando la Cecoslovacchia socialista accoglieva gli studenti del Vietnam comunista. Oggi all’economia serve manodopera straniera, ma il governo ceco blocca tutti i visti. Per colpire la criminalità asiatica, dice