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I robot sognano di franchigie personali?


Il 17 febbraio, Bill Gates ha dichiarato in un’intervista per la rivista online Quartz, che i robot stanno “rubando” il lavoro agli umani, producendo quelle che vengono chiamate dagli economisti esternalità negative. La rapida automazione rischia di eliminare più impiegati che svolgono una professione che oggi potremmo considerare superata di quanti sarebbero realmente assorbiti dai nuovi settori. Questo porta a una disoccupazione di lungo termine particolarmente dispendiosa.

Un robot parla ai partecipanti al Mobile World Congress di Barcellona. REUTERS/Paul Hanna

Il 17 febbraio, Bill Gates ha dichiarato in un’intervista per la rivista online Quartz, che i robot stanno “rubando” il lavoro agli umani, producendo quelle che vengono chiamate dagli economisti esternalità negative. La rapida automazione rischia di eliminare più impiegati che svolgono una professione che oggi potremmo considerare superata di quanti sarebbero realmente assorbiti dai nuovi settori. Questo porta a una disoccupazione di lungo termine particolarmente dispendiosa.

Inoltre, Gates ha sorprendentemente sostenuto che i governi dovrebbero tassare l’utilizzo dei robot per rallentare la diffusione dell’automazione e sovvenzionare altri tipi di impiego, almeno nel breve periodo. In particolare, presume che una tassa sui robot, tanto sull’installazione di un robot quanto sulle aziende di maggiore profitto che beneficiano dell’automazione, potrebbe potenzialmente finanziare l’espansione dell’assistenza sanitaria e dell’educazione. Infatti, ritiene che tale provvedimento risulterebbe positivo per i posti di lavoro che coinvolgono la cura degli anziani o l’impegno con i bambini a scuola, le cui necessità sono tutt’ora spesso insoddisfatte, ricordando che in questo genere di mestieri il contatto umano è imprescindibile. Peraltro, ha proposto che si potrebbero usare i soldi ricavati per trattenere i lavoratori precedentemente sfollati.

E Gates non è l’unico a sostenere questa linea di pensiero: in uno studio del Parlamento Europeo, si suggerisce che i robot dovrebbero registrarsi presso il governo ed essere considerati responsabili per i danni che provocano, perdita del lavoro incluso. La Commissione Europea, dal suo canto, si aspetta che ogni azienda che consente l’automazione anch’essa paghi tasse individuali o contribuisca alla sicurezza sociale. 

Secondo la Bank of England, 80 milioni di impieghi negli Stati Uniti e 15 milioni di impieghi in Gran Bretagna sono a rischio di automazione; soprattutto quelli che tendono a pagare i salari più bassi, il che vorrebbe dire che i robot contribuiscono ad ampliare il divario tra ricchi e poveri.

Il primo e più tangibile problema è quello di definire cosa si intende per ”robot”. E’ una macchina antropoide che emette segnali acustici monotoni, o forse dei bracci meccanici giganti che mettono porte su auto nuove in fabbrica, o magari uno strumento che consente di risparmiare lavoro, ma non ha parti in movimento? Questo punto risulta cruciale da chiarire per comprendere al meglio che tipo di tecnologia dovrebbe essere tassata. In parole povere, sarebbe caso che ogni bene capitale, dalla ruota alla pipetta, debba essere tassato? Come Noah Smith sottolinea, “il problema della proposta di Gates è che è molto complicato stabilire la differenza tra la nuova tecnologia che fa da complemento agli individui e quella che invece li sostituisce. Questo è vero in particolare nel lungo periodo”.

Gli economisti in genere sconsigliano di tassare gli investimenti di capitale (ad esempio i robot), che ci consentono di aumentare il nostro livello di produzione: la tassazione di solito scoraggia gli investimenti, rendendo gli individui più poveri nel complesso. Per essere più precisi, da un lato i lavoratori potrebbero soffrire a causa di un rimpiazzo da parte di fantocci, ma dall’altra potrebbero trarne giovamento perché ciò causerebbe una discesa dei prezzi. Inoltre, in realtà l’automazione si sta verificando più lentamente di quanto pensiamo. Anche se l’avvicendamento delle macchine ai lavoratori porterebbe a registrare un aumento del tasso di crescita della produttività, la proposta di Mr. Gates potrebbe accrescere la spesa relativa sui robot rispetto al lavoro umano, quindi, rallentando un boom di produttività già di per se in ritardo.

Una cosa per cui Gates ha ragione è che dovremmo iniziare a pensare in anticipo su nuove policy per mitigare il potenziale effetto negativo di questa rivoluzione tecnologica. Tuttavia, una volta confrontatisi con l’innovazione, i robot potrebbero non essere il bersaglio giusto, e dovremmo guardare a misure alternative, come un sussidio salariale per i lavoratori a basso reddito su cui cade maggiormente il peso delle cosiddette “payroll taxes”, rendendo il lavoro umano più economico. O forse, potremmo semplicemente ampliare i limiti sul reddito di capitale per tassare di più i ricchi che comprano azioni e immobili, e distribuire i profitti ricavati alla popolazione. 

Per riassumere, storicamente, ogni nuovo significativo avanzamento tecnologico che ha reso il lavoro più efficiente, ha portato ad un miglioramento degli standard di vita. E’ vero che l’innovazione può temporaneamente rompere gli equilibri del mercato del lavoro, come accadde con l’invenzione delle automobili le quali sostituirono le classiche carrozze, ma l’effetto complessivo sulla produttività è positivo, anche per coloro che perdono il posto di lavoro. Dal momento che tutto il capitale è finalizzato ad aumentare i rendimenti lavorativi, siamo in grado di produrre più beni che desideriamo e di cui necessitiamo, e consequenzialmente i nostri salari possono accrescersi.

Come evidenziato in precedenza, ci sono modi probabilmente migliori per fare in modo che la società odierna eviti i danni apportati dall’avvento del mondo digitale: ma scoraggiare l’uso del capitale vuol dire fare un passo indietro, e non avanti. Pertanto, nonostante il messaggio di Bill Gates si posizioni come lungimirante, le sue idee ci portano verso un maggiore primitivismo e ostacolano il progresso, impedendoci di risolvere gli stessi problemi a cui il plurimiliardario americano ha personalmente dedicato la sua vita e la ricchezza.

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