
È il personaggio di più alto profilo a finire in manette. Ma non è certo il primo. Le accuse di corruzione in Russia sono uno strumento di giustizia selettiva, un modo per fare pulizia. E Ulyukayev potrebbe non fare eccezione.
Lasciamo perdere l’accusa di aver preso una tangente di 2 milioni di dollari – che nessuno esclude possa essere vera – e concentriamoci sul contesto. Gli arresti per mazzette in Russia non sono mai casuali. In Paese con una corruzione endemica, fino ai livelli più alti, come è la Russia, una vera lotta al fenomeno sarebbe come una pesca a strascico. Se nella rete, però, finisce solo qualche pesce ogni tanto è legittimo sospettare che la legge non sia uguale per tutti.
Aleksey Ulyukayev, ministro dello Sviluppo economico dal 2013, è stato incriminato dal potente Comitato investigativo – la super procura alle dirette dipendenze di Putin – e messo subito agli arresti. Per l’ufficio che ricopriva, ha dovuto supervisionare l’acquisizione della compagnia petrolifera pubblica del Bashkortostan, Bashneft, da parte della Rosneft di Igor Sechin. Quest’ultimo, potente tra i potenti siloviki e da sempre vicinissimo a Putin, è da mesi dato per caduto in disgrazia. Inoltre, non si sa chi avrebbe pagato la tangente per favorire Rosneft nell’acquisizione. Visto da qui, l’arresto di Ulyukayev – che non è uno della cerchia dei siloviki, ma proviene dal mondo accademico – potrebbe non essere altro che l’ennesima testa che cade. E, forse, anche un modo per indebolire Sechin, che ora forse dovrà guardarsi le spalle.
Non una novità
Qualcosa nel Cremlino si era mosso già la scorsa estate quando, nel volgere di qualche giorno, era stato dimissionato il capo del Servizio federale delle dogane, Andrey Belyaninov, dopo che la sua casa era stata perquisita dall’Fsb; tre alti ufficiali del Comitato investigativo, incluso l’astro nascente e vicedirettore della sezione di Mosca Denis Nikandrov, erano stati arrestati, sempre dagli uomini dei servizi; e in un solo giorno, il 28 luglio, ben quattro governatori regionali – quello di Sebastopoli e degli oblast’ di Kaliningrad, Jaroslavl e Kirov – erano stati sostituiti; e infine il fedelissimo Sergej Ivanov era stato rimosso dall’incarico di capo dello staff di Putin.
Nelle stesse ore, l’inviato plenipotenziario per il distretto della Crimea, Oleg Belaventsev, era stato spostato alla regione del Nord Caucaso, al posto di Sergey Melikov, nominato vice capo della nuova Guardia nazionale, al cui comando supremo era già stato nominato Viktor Zolotov, comandante delle forze interne ed ex capo della sicurezza personale di Putin. Infine, Mikhail Zurabov era stato rimosso dall’incarico di ambasciatore in Ucraina.
Pulizie ai piani alti
La pulizia ai piani più alti delle amministrazioni russe ha toccato i livelli più alti negli ultimi mesi, ma non è iniziata ieri. Nei mesi precedenti è stato sostituito il governatore della regione di Tula, mentre quelli delle regioni di Kirov e di Sakhalin sono finiti in manette con l’accusa di corruzione. E andando a contare anche i ranghi più bassi, dai funzionari ai sindaci, sono svariate decine gli arresti e le destituzioni dall’inizio dell’anno. L’accusa è sempre la stessa: corruzione.
Tatyana Stanovaya, analista politica con anni di esperienza, ha scritto che dopo la giostra di nomine «le strutture che continuano a essere il sostegno personale di Putin, ossia l’Fsb e la Guardia nazionale, stanno avendo il loro momento di gloria politica, mentre le figure di secondo piano stanno perdendo potere; il ministero dell’Interno è ora molto più debole di prima».
L’obiettivo di Putin, insomma, sembra sempre lo stesso: bilanciare il ruolo delle principali forze interne antagoniste, in modo che nessuna accumuli nelle proprie mani abbastanza potere.
Qualcosa in più ce la dirà chi sostituirà Ulyukayev.
@daniloeliatweet
È il personaggio di più alto profilo a finire in manette. Ma non è certo il primo. Le accuse di corruzione in Russia sono uno strumento di giustizia selettiva, un modo per fare pulizia. E Ulyukayev potrebbe non fare eccezione.