Il ruolo decisivo nelle sorti della guerra in Siria, le interferenze nelle presidenziali Usa, la corsa ai missili balistici intercontinentali. In questi stessi giorni, dodici mesi fa, scrivevamo che il 2015 era stato l’anno della Russia. Oggi potremmo dire la stessa cosa del 2016, e a maggior ragione.
Le parole di Putin riassumono meglio di ogni altra cosa questo 2016 della Russia: «Oggi siamo più forti di qualunque avversario che voglia minacciarci». Il pensiero del presidente russo era rivolto, come sempre, all’America e alla Nato. L’altro piatto della bilancia nell’equilibrio mondiale. Un equilibrio che si è basato per i decenni della guerra fredda sugli arsenali atomici di Usa e Urss, sulla reciproca minaccia di ritorsione in caso di attacco nucleare di una delle due parti. Un equilibrio che dopo la caduta del Muro di Berlino e con gli accordi per la non proliferazione delle armi nucleari – ma soprattutto con gli scudi antimissile americani – sembrava aver spostato l’ago in favore degli Usa. Un equilibrio, però, che non aveva mai finito per propendere del tutto da una parte. Le parole di Putin ora sono importanti non per quello che dicono – non è una novità che l’arsenale nucleare russo sia più vasto di quello Usa e di chiunque altro – ma proprio perché sono pronunciate alla fine di un altro anno che ha visto la Russia sempre più protagonista nel mondo.
L’equilibro della Guerra fredda
Partiamo proprio dalle armi nucleari. La frase di Putin è arrivata poche ore dopo l’annuncio di Trump di rafforzare l’arsenale atomico americano. Non è chiaro cosa intenda il presidente eletto Usa, se ammodernare la triade o rimettere in discussione gli accordi Usa-Russia sulla denuclearizzazione. In entrambi i casi, un bel regalo al programma nucleare di Putin, che ha avuto proprio di recente un balzo in avanti.
Il 2016 è stato infatti l’anno della presentazione del nuovo missile balistico intercontinentale (ICBM) russo Rs-28 Sarmat, nome in codice Nato Satan 2, un’arma con un potere distruttivo fino a 40 megatoni, qualcosa come 2.600 bombe di Hiroshima tutte in una.
Ma il valore del Satan 2 non è la sua potenza, quanto la sua capacità di rompere l’equilibrio globale strategico. Il nuovo ICBM potrà bucare «ogni sistema di difesa missilistica presente e futuro», perché volerà a velocità variabili tra le sette e le dodici volte quella del suono come un missile ipersonico, potrà cambiare la propria rotta anche dopo il lancio, potrà raggiungere gli Stati Uniti persino passando sopra il Polo Sud e, prima dell’impatto, libererà dalle 10 alle 15 testate nucleari autonome che si sparpaglieranno sull’obiettivo. Impossibile da acchiappare.
I sistemi di difesa missilistica statunitensi, come il Ground-Based Midcourse Defense (GDM) e l’Aegis Ballistic Missile Defense System (ABMD), già in funzione in Romania e presto in Polonia – cosa che ha fatto molto irritare la Russia – possono oggi prevenire un attacco nucleare con gli attuali Satan, abbattendoli in diversi stadi del volo, ma non potranno niente contro i nuovi Satan 2.
Uno strumento di deterrenza, quindi, un’arma di rappresaglia che ristabilisce un equilibrio nucleare.
E poi ci sono i trattati: lo START-3 prevede che entro il 2018 si gli Usa che la Russia potranno disporre di soli 700 missili per massimo 1550 testate ciascuno. Mosca, che ora ha 526 razzi e 1648 testate, dovrà disfarsi di 154 Satan, che però non saranno rimpiazzati da altrettanti Satan 2, dato il numero maggiore di testate che quest’ultimo può portare. Sempre che, però, gli accordi non vengano rimessi in discussione dalla presidenza Trump.
L’orso digitale
Se il Satan 2 è l’arma che funziona solo se non è usata, la Russia in questo 2016 ha schierato un altro arsenale micidiale, usandolo. La cyber war lanciata dal Cremlino ha colpito gli Stati uniti come mai prima d’ora. Gli hacker russi hanno talmente fatto parlare di loro che, anche se le accuse dei servizi segreti americani non fossero vere fino in fondo, un risultato l’avrebbero ottenuto comunque: rendere la Russia la prima cyberpotenza al mondo.
L’exploit si è avuto con l’hackeraggio dei server del comitato dei Democratici lo scorso luglio. In quell’occasione due entità soprannominate dalla sicurezza dei Democratici «Fancy Bear» e «Cozy Bear» (che secondo la società informatica CrowdStrike chiamata a bloccare l’intrusione sono riconducibili ai due principali rami dell’intelligence di Putin, quella civile dell’Fsb e quella militare del Gru), hanno ficcato il naso nei computer del partito di Hillary Clinton per almeno un anno, passando a WikiLeaks informazioni che potrebbero aver condizionato l’esito della campagna. Di recente la Cia ha redatto il rapporto finale di un mese di indagini informatiche, sollecitate dal presidente Obama, puntando decisamente il dito contro hacker russi legati al Cremlino.
Ecco perché quando, il 21 ottobre, un attacco DDoS di magnitudo mai vista prima ha paralizzato mezzo web Usa per un paio d’ore (un attacco del tutto innovativo, che ha sfruttato decine di milioni di oggetti connessi a internet sparsi per il mondo, come videorecorder e IP camera, per creare un esercito di bot che ha preso di mira un solo obiettivo), tutti hanno guardato a est.
Non è una novità. Nel 2007 un attacco DDoS mette in ginocchio la rete internet del governo estone, dopo la controversa decisione di Tallin di smantellare un monumento ai militari dell’Armata rossa: servizi essenziali sospesi e danni economici ingenti. Nel 2008, alcune settimane prima dell’invasione militare russa in Ossezia del sud gli hacker russi bloccarono le comunicazioni in Georgia, oltre a diversi siti governativi e a quello del presidente. Nel 2014 a essere colpita fu la rete cellulare e internet della Crimea, poco prima dell’arrivo degli “omini verdi”, i soldati russi privi di insegne. E ancora all’inizio di quest’anno un attacco alla rete elettrica ucraina ha lasciato 700mila case al buio.
Ma mai come quest’anno, però, la capacità offensiva dell’esercito di hacker russi si era fatta notare per importanza del bersaglio colpito e per magnitudine degli attacchi sferrati.
Il 2017 arriva con nuove opportunità per la Russia di capitalizzare i risultati ottenuti nell’anno che si sta concludendo: il vantaggio di posizione in Siria, l’arrivo alla Casa bianca di Donald Trump, il petrolio dato in salita nel corso dell’anno, il percorso di pace in Donbass impantanatosi a Minsk, l’ascesa di leader filorussi in Moldavia e Bulgaria. E poi, ancora, le prossime elezioni in Francia e Germania viste come occasione di far funzionare a pieno regime la macchina della propaganda e dare ancora qualche spallata al percorso di integrazione europea. Insomma, tutto lascia presumere che anche nel 2017 la Russia sarà protagonista della scena internazionale come mai negli ultimi vent’anni.
@daniloeliatweet
Il ruolo decisivo nelle sorti della guerra in Siria, le interferenze nelle presidenziali Usa, la corsa ai missili balistici intercontinentali. In questi stessi giorni, dodici mesi fa, scrivevamo che il 2015 era stato l’anno della Russia. Oggi potremmo dire la stessa cosa del 2016, e a maggior ragione.