Dopo il fallimento nella presa di Kiev, la Russia si sta ora concentrando sul Donbass. Gli analisti militari si chiedono se stavolta l’inferiorità numerica ucraina di truppe e armamenti si rivelerà determinante
Da quando la Russia ha annunciato e avviato la seconda fase della guerra in Ucraina – limitata, sembra, alla conquista dell’est e del sud del Paese, dopo il fallimento della campagna per la presa di Kiev –, gli analisti militari si domandano innanzitutto una cosa: le forze ucraine continueranno ad avere la meglio su quelle russe, oppure l’inferiorità numerica di truppe e armamenti si rivelerà, stavolta, determinante?
A essere diverso è il campo di battaglia. Nella “fase uno” i combattimenti si sono svolti in un contesto urbano: case, strade, vie laterali nelle quali i soldati ucraini potevano nascondersi, attaccare i russi e sparire di nuovo. La guerriglia potrebbe tuttavia non essere applicabile alla geografia del Donbass, la regione orientale che funge da arena principale della “fase due” del conflitto: le pianure, con i loro spazi aperti, non offrono grandi nascondigli naturali né possibilità di attacchi a sorpresa. La Russia potrà allora schierare carrarmati, grossi sistemi missilistici e artiglieria pesante per distruggere da lontano le postazioni ucraine; i missili spalleggiabili forniti dall’Occidente agli ucraini, il cui contributo è stato finora fondamentale, difficilmente manterranno la loro incisività. Lo scontro diretto tra i due eserciti in campo aperto sembrerebbe favorire Mosca.
Ci sono due altri fattori che avvantaggiano, almeno sulla carta, la Russia. Il Donbass le è vicino, confinante, e quindi il suo esercito potrà organizzare delle linee di rifornimento più brevi e più efficienti di quelle viste finora. I russi, inoltre, conoscono bene il territorio della regione perché vi operano già da anni, sostenendo i ribelli separatisti delle autoproclamate repubbliche di Doneck e Luhansk. Il generale Aleksandr Dvornikov, il nuovo capo delle operazioni militari in Ucraina, oltre ad aver comandato la campagna di Siria, ha peraltro supervisionato le attività russe nel Donbass dal 2016.
Sulla carta però – come fa notare il New York Times – la Russia avrebbe dovuto avere vincere già la prima fase della guerra e conquistare Kiev nel giro di pochi giorni. Non lo pensava solo il Cremlino, ma pure gli esperti statunitensi ed europei di cose militari. E invece le forze armate russe si sono rivelate meno formidabili del previsto; e anche se adesso il conflitto è evoluto in qualcosa di diverso, le debolezze di fondo dell’esercito rimangono: l’incapacità di controllare lo spazio aereo, di condurre operazioni complesse e di comunicare usando linee sicure e non intercettabili; la disfunzionalità dei veicoli, la scarsa coordinazione e il basso morale delle truppe, solo per citarne alcune.
I soldati ucraini, invece, sono motivati. E dovrebbero ricevere dall’Occidente – gli Stati Uniti hanno annunciato un nuovo pacchetto di aiuti da 800 milioni – veicoli corazzati, sistemi antiaerei e artiglieria a lungo raggio. Se l’Ucraina dovesse ottenere questi armamenti in tempi brevi, la geografia del Donbass diventerebbe un ostacolo anche per i russi: a ogni loro tentativo di avanzamento in campo aperto corrisponderebbe, in risposta, il fuoco di sbarramento ucraino. Per rallentare ulteriormente i russi gli ucraini potranno distruggere i ponti o riempire di mine i campi e le strade.
Secondo l’intelligence americana, in guerra sono morti tra i 7mila e i 10mila soldati russi, e 20mila-30mila sono rimasti feriti; i militari ucraini uccisi sono 5500-11mila e quelli feriti più di 18mila. Sono numeri incerti e impossibili da verificare. Si stima inoltre che i battaglioni russi presenti nel Donbass siano quaranta, per un totale di 40mila truppe; prima dell’inizio dell’invasione, l’esercito ucraino contava circa 30mila unità.
Nelle guerre del passato combattute nella steppa, la strategia – adottata anche dall’Unione sovietica contro i tedeschi nella Seconda guerra mondiale – consiste nell’aggirare il fianco delle forze nemiche, circondarle e infine colpirle con l’artiglieria. In Ucraina avverrà probabilmente lo stesso, e la guerra durerà forse a lungo, con le linee dei fronti sostanzialmente immobili per settimane.
A essere diverso è il campo di battaglia. Nella “fase uno” i combattimenti si sono svolti in un contesto urbano: case, strade, vie laterali nelle quali i soldati ucraini potevano nascondersi, attaccare i russi e sparire di nuovo. La guerriglia potrebbe tuttavia non essere applicabile alla geografia del Donbass, la regione orientale che funge da arena principale della “fase due” del conflitto: le pianure, con i loro spazi aperti, non offrono grandi nascondigli naturali né possibilità di attacchi a sorpresa. La Russia potrà allora schierare carrarmati, grossi sistemi missilistici e artiglieria pesante per distruggere da lontano le postazioni ucraine; i missili spalleggiabili forniti dall’Occidente agli ucraini, il cui contributo è stato finora fondamentale, difficilmente manterranno la loro incisività. Lo scontro diretto tra i due eserciti in campo aperto sembrerebbe favorire Mosca.