Si sono sostituiti ai militari nell’immaginario della «grande Corea». E godono di tutti i privilegi dell’élite. Grazie a loro (e all’aiuto di amici stranieri, da Pechino a Islamabad) Pyongyang ha raggiunto risultati impressionanti. Ma in caso di insuccesso rischiano molto
Quando finisce la guerra fredda, la Corea del Nord è ormai avviata verso il suo programma nucleare. E sebbene non vi siano più gli amici sovietici, che hanno aiutato Kim Il-Sung a fare i primi passi, come abbiamo raccontato nella prima parte dell’articolo, Pyongyang continua a procurarsi attrezzature.
La Cina, che in un primo tempo aveva risposto no alle richieste d’aiuto della Corea del Nord, a quel punto non rifiuta più il suo sostegno. «Non è un segreto che la Cina sia una fonte di una grande quantità di materiale a duplice uso che entra nel Paese», spiega Mark Hibbs, del Carnegie Endowment for International Peace, uno dei maggiori esperti al mondo in materia di sviluppo di armi nucleari. «Si tratta di materiale che puoi usare per costruire biciclette o con il quale puoi fabbricare attrezzature per centrifughe». O parti di armi nucleari.
La svolta per la Corea del Nord, però, non è né l’Urss, né la Cina, bensì il Pakistan. «Le basi per il programma di armi nucleari all’uranio della Corea del Nord sono state gettate negli anni ’90, con l’aiuto sostanziale del «dottor» A.Q. Khan, il pioniere del programma bomba atomica del Pakistan».
Khan avrebbe orchestrato il trasferimento clandestino di centrifughe di uranio, macchine per l’arricchimento e dati tecnici alla Corea del Nord per diversi anni, secondo il libro Nuclear Black Markets: Pakistan, A.Q. Khan and the Rise of Proliferation Networks. Ipotesi confermata nel 2005 in un’intervista all’agenzia di stampa giapponese Kyodo dall’allora presidente del Pakistan Musharraf. Secondo l’autore del libro Mark Fitzpatrick, però, alcune delle offerte di Khan – come scrive Global News – «erano probabilmente legate agli accordi ufficiali esistenti tra i due Paesi, in cui la Corea del Nord forniva tecnologie di missili balistici al Pakistan».
Quindi, attraverso il consueto sistema con il quale la Corea del Nord ha sempre arginato le sanzioni, attraverso traffici leciti e illeciti, come spiegato su eastwest.eu, il regime dei Kim ha sempre garantito benessere alla propria cerchia di funzionari fedeli, ha permesso la nascita di una sorta di middle class urbana nelle città principali e ha consentito uno sviluppo del programma nucleare. Mentre la popolazione si arrabattava tra carestie e necessità di provvedere al proprio sostentamento attraverso mercato nero e contrabbando per la Cina, gli scienziati in Corea del Nord ricevevano attenzioni e onori.
Propaganda e scienziati
Il 6 settembre del 2017 The Atlantic torna sul tema con un articolo dal titolo emblematico: Come ha fatto la Corea del Nord a fare progressi in così poco tempo sul nucleare? Viene sottolineato il ruolo proprio degli scienziati (spesso mandati in precedenza all’estero o affiancati da scienziati stranieri fatti arrivare a Pyongyang): «Il ruolo del programma nucleare e missilistico della Corea del Nord nella psiche nazionale può essere compreso in parte attraverso la stima in cui si trovano gli scienziati nel Paese. Ci sono molti progetti di edilizia residenziale di alto profilo dedicati agli scienziati e alle loro famiglie. I media controllati dallo stato riferiscono spesso gli onori che ricevono dopo test nucleari, missili e lanci spaziali».
Joshua Pollack, ricercatore associato presso il Middlebury Institute of International Studies di Monterey, spiega che quello degli scienziati impegnati nei programmi missilistici coreani è «il lavoro più prestigioso in questo momento». Gli scienziati si sono quasi sostituiti ai militari nell’immaginario collettivo di «grande Corea» che il regime prova a propagandare: «da tempo la Corea del Nord ha iniziato a enfatizzare il ruolo degli scienziati nella società sia per far progredire la loro economia, sia, ancora di più, per far avanzare le loro armi nucleari e la tecnologia missilistica “.
Il progresso missilistico – non a caso – è stato celebrato proprio alla fine del 2017 da un francobollo commemorativo dell’ultimo missile lanciato, Hwasong-15, che ha preoccupato mezzo mondo, benché non ci sia alcuna prova che possa trasportare una testata nucleare.
Kim Jong-un, rispetto al nonno e al padre, è stato molto più presente nel lavoro di ricerca e propaganda a proposito dei missili e del nucleare: come ha raccontato il New York Times «Quattro anni dopo aver preso il potere nel 2011, Kim Jong-un ha aperto una strada a sei corsie a Pyongyang nota come Future Scientists Street, con le torri degli appartamenti scintillanti per scienziati, ingegneri e per le loro famiglie».
Michael Madden, che gestisce il sito web North Korea Leadership Watch, ha spiegato al Nyt che Kim manda all’estero i suoi scienziati e chiede che al loro ritorni portino con sé materiale scientifico: riviste e letteratura scientifica. E ancora: le sanzioni delle Nazioni Unite proibiscono «l’insegnamento di materiale scientifico con applicazioni militari agli studenti nordcoreani» ma grazie a internet gli scienziati – che al contrario della popolazione coreana hanno totale libertà di navigazione – possono «setacciare il web per dati open-source sotto la sorveglianza di agenti di sicurezza».
Naturalmente per ingegneri e personale impegnato nel programma nucleare coreano c’è un altro lato della medaglia, perché gli stessi scienziati, onorati e celebrati, sono sottoposti a pressioni terribili per arrivare a risultati sempre più soddisfacenti. «C’è una possibilità concreta, ha detto Vipin Narang, professore associato di scienze politiche al Mit, che Kim, come suo padre Kim Jong Il, abbia «minacciato di morte questi scienziati in caso di mancati progressi».
Qualunque siano state le motivazioni per gli scienziati e le strategie adottate da Pyongyang, i risultati sono impressionanti. Nel 2016, la Corea del Nord ha testato 26 missili; 16 hanno avuto successo e 10 sono falliti, secondo un database gestito dalla Nuclear Threat Initiative. Questa è una percentuale di successo del 62 percento circa. Ci sono stati 18 test in tutto finora quest’anno: 12 successi, cinque fallimenti e uno sconosciuto. Questa è una percentuale di successo del 67%. Queste cifre sottolineano che la Corea del Nord è «determinata a sfondare». E il fatto che «siano disposti a testare i missili così frequentemente suggerisce che non sono davvero preoccupati per l’approvvigionamento», ha detto Narang al The Atlantic, concludendo che «se non avessi la possibilità di produrre così tanti missili, allora potresti essere un po ‘più riluttante a provare».
Quindi, la Corea del Nord arriva a questo 2018 pronta a sedersi a un probabile tavolo negoziale, specie dopo le ultime intercessioni cinesi e russe. Ma lo farà cosciente che indietro non si può tornare. Che Pyongyang sia o meno in grado di trasportare una testata nucleare, poco importa. Le ultime mosse di Kim hanno fatto sì che il suo potere non sia in discussione, quanto voleva già Kim Il-sung il fondatore della Repubblica popolare democratica e della corsa alla difesa del proprio trono attraverso lo sviluppo di un arsenale nucleare. ( 2 – fine)
@simopieranni
Si sono sostituiti ai militari nell’immaginario della «grande Corea». E godono di tutti i privilegi dell’élite. Grazie a loro (e all’aiuto di amici stranieri, da Pechino a Islamabad) Pyongyang ha raggiunto risultati impressionanti. Ma in caso di insuccesso rischiano molto