
Una girandola di incontri, di voci, di rumors e di sospetti. I protagonisti sono il suprematista Steve Bannon, lo zar dell’anti-corruzione cinese Wang Qishan e il miliardario cinese in fuga negli Usa Guo Wengui.
In questo strambo incrocio di destini i protagonisti sono tre: l’ex strategist di Trump, che ancora oggi pare però rivestire un ruolo non ufficiale presso l’amministrazione, Steve Bannon, noto anche per la sua attività con Breitbart News sito dell’Alt Right che Bannon ha saputo portare alla Casa Bianca.
C’è il «Castigamatti» Wang Qishan a capo del team anti-corruzione cinese e informale braccio destro del presidente Xi Jinping. Le sue sorti al prossimo congresso potrebbero essere indissolubilmente legate a quelle del numero uno.
E poi c’è il miliardario, Guo Wengui: esiliato negli Usa, dove ha da poco richiesto asilo politico. Da tempo Guo – attraverso interviste e video – sta denunciato presunti scandali contro la dirigenza cinese; se le sue accuse fossero dimostrabili potrebbero minare l’attuale assetto del partito comunista e rovinare, in primis, proprio la carriera di Wang Qishan.
I fatti che hanno riportato i tre sopra diverse tele dipinte in questi giorni sono i seguenti: Steve Bannon dopo la partecipazione a un convegno di Hong Kong, dove – contrariamente al passato – avrebbe parlato molto bene della Cina, del suo modello economico e delle affinità tra Cina e Usa, sarebbe stato ricevuto a Zhongnanhai, il Cremlino cinese, proprio da Wang Qishan.
La notizia è uscita attraverso uno scoop del Financial Times, mai smentito né da Bannon, né dall’entourage di Wang Qishan. Ma una volta appurato che «probabilmente» l’incontro c’è stato per davvero, la vera domanda è diventata: cosa diavolo si sono detti il neonazi americano e il Torquemada cinese?
Prima di provare a rispondere, ed esplorare il ventaglio di ipotesi che sono state fatte, serve un passo indietro.
Chi è Wang Qishan?
69 anni, dato come un riformatore negli anni ’80 e proprio per questo distintosi nella confusione dei tanti funzionari cinesi che provavano a scalare la vetta. Tra i tanti sforzi deve avergli giovato non poco avere sposato la figlia di un ex premier cinese. Secondo le sue biografie avrebbe gestito lui direttamente la crisi economica del 2008, gestendo i rapporti con gli Usa, a cui Wang piace molto. Dicono che, contrariamente ai suoi colleghi, papaveri di partito, sia una persona molto ironica. A metà degli anni ’90 con al governo i tecnocrati, Wang trova la sua strada e aiuta a creare la prima banca di investimenti cinesi, la China International Capital Corp, joint venture tra China Construction Bank e Morgan Stanley di cui sarà governatore.
Non solo, perché Wang Qishan è vicino al presidente cinese da sempre: entrambi fecero parte dei «mandati nello Shaanxi» durante la rivoluzione culturale. Il loro rapporto di lavoro va avanti da anni e quando Xi Jinping è giunto al potere lo ha messo a capo del Comitato disciplinare, ovvero alla guida della più clamorosa campagna anti-corruzione mai vista in Cina. Centinaia di migliaia gli indagati, migliaia i condannati. Pare che Xi lo abbia scelto per la sua comprovata etica e perché non ha figli, un dettaglio non da poco per fare bene, secondo Xi, il controllore dei corrotti che spesso mandano avanti in modo illecito proprio i figli.
Wang – come sperava dunque Xi Jinping – nel suo ruolo di anti-corruttore non ha avuto alcuna pietà: «mosche» (piccoli funzionari), «tigri» (alti funzionari), membri dell’esercito, miliardari o potenti amministratori di aziende: non ha fatto alcuna distinzione. Alcuni è andato ad arrestarli sul letto di morte in ospedale. È stato il braccio operativo di Xi Jinping e pare che alla domanda su quando terminerà mai questa campagna la risposta sia stata: «C’è un inizio, ma non c’è una fine».
Ora Wang ha 69 e in teorie dovrebbe andare in pensione. Ma rumors lo vogliono invece riconfermato nel Comitato centrale del Politburo al prossimo congresso del Pcc che inizierà il 18 ottobre e anzi si prevede la possibilità di una sua scalata: Wang potrebbe diventare il numero due e diventare premier del paese, riprendendo in mano tutte le responsabilità economiche della Cina e facendo probabilmente diventare realtà il terzo mandato per Xi Jinping. Si dice che gli ammiratori di Wang lo abbiano sempre definito «il migliore premier che la Cina non ha mai avuto». Ora potrà dimostrarlo, forse.
Ora che sappiamo chi è Wang, dunque, perché Steve Bannon lo avrebbe incontrato?
Ci sono diverse ipotesi:
– Steve Bannon lavora ancora informalmente per la Casa Bianca. Avrebbe incontrato Wang Qishan perché sarà il probabile numero due e il probabile responsabile dell’economia cinese. A novembre Trump sarà in Cina e più in generale, superata la crisi coreana, si tornerà a parlare di bilancia commerciale, di dumping da parte della Cina, di yuan.
Quindi Bannon avrebbe avuto un primo incontro con Wang per questo motivo. Quindi Bannon svolgerebbe ancora un ruolo informale, gli Usa saprebbero bene le prossime mosse interne di Xi, mentre la Cina – se fosse vera questa lettura – uscirebbe da questo incontro ancora più confusa circa le metodologie dell’amministrazione Trump.
Qualche giorno dopo – infatti- è arrivato a Pechino, il segretario al Commercio Usa, Wilbur Ross, che ha incontrato il primo ministro, Li Keqiang. «Ci auguriamo risultati molto buoni» per le relazioni bilaterali, ha detto Ross al termine del colloquio con il premier di Pechino. La visita di Ross – come hanno sottolineato le agenzie – arriva in un momento in cui i rapporti bilaterali sul commercio tra Pechino e Washington sono segnati dal lancio delle indagini su possibili pratiche commerciali scorrette da parte della Cina.
Quindi Bannon potrebbe avere effettuato un’ambasciata «informale» ben sapendo che tanto il prossimo uomo con cui gli Usa avranno a che fare non sarà Li Keqiang? Oppure Wang ha approfittato della presenza di Bannon a Hong Kong per riceverlo a Pechino e provare a capire come ragiona il suo boss Donald Trump?
Una ipotesi alternativa
Una ulteriore ipotesi è che Wang Qishan e Bannon, oltre ad aver parlato di nazionalismo e populismo, argomenti che in ogni caso sono seguiti molto attentamente da Pechino, abbiano affrontato proprio la questione che riguarda Guo Wengui, il miliardario fuggito negli Usa e il cui principale bersaglio delle sue rivelazioni è proprio Wang Qishan. Guo proprio qualche settimana fa ha chiesto asilo politico agli Usa, ipotesi che forse non piace granché a Pechino.
Che siano andate così le cose è stato messo in dubbio da alcuni osservatori perché questo atteggiamento cinese – perorare presso Bannon la possibilità che gli Usa non concedano a Guo l’asilo politico – significherebbe ammettere di dare rilevanza alle parole di Guo dagli Usa.
Ma si tratta di qualcosa che già la Cina ha fatto, diramando via Interpol una red notice proprio contro Guo Wengui (tra l’altro negli ultimi mesi, con un cinese all’Interpol, la Cina ha battuto ogni record perché sono circa 3 mila le indagini avviate via Interpol), ammettendo dunque implicitamente la rilevanza di una persona, Guo, che conosce bene il mondo di cui parla, benché quasi nulla delle sue accuse sia verificabile o «provato». Ma è di sicuro una persona che ha contatti molto in alto e che potrebbe aver assistito o ascoltato qualcosa che potrebbe mettere in cattiva luce l’attuale dirigenza cinese.
E non a caso, proprio in questi giorni di rumors, e incontri pseudosegreti e informali o forse semplicemente capitati per caso, Guo Wengui in uno dei suoi nuovi video lanciati dal suo canale di Youtube ha promesso clamorose rivelazioni proprio nei giorni del Congresso: parole che secondo il miliardario sconquasseranno completamente l’appuntamento politico più importante per la Cina.
@simopieranni
Una girandola di incontri, di voci, di rumors e di sospetti. I protagonisti sono il suprematista Steve Bannon, lo zar dell’anti-corruzione cinese Wang Qishan e il miliardario cinese in fuga negli Usa Guo Wengui.