“Senza tifosi, il calcio non è niente”. Quello che fino all’altro giorno era solo uno slogan portato avanti dalle curve di mezza Europa, adesso è una verità riconosciuta anche dai rappresentanti dei club della massima serie inglese e sancita con un preciso accordo.
L’intesa è quella raggiunta dalle venti società della Premier League,che su pressione dei fan hanno deciso di stabilire un tetto di 30 sterline (circa 40 euro) al costo dei biglietti per le trasferte, proprio al fine di garantire la “essenziale” presenza del tifo ospite. Come si legge nel comunicato che dà conto dell’accordo, il ruolo dei supporter ospiti è “necessario per garantire l’atmosfera della gara e stimolare la risposta dei tifosi di casa, che distingue le partite della Premier League da quelle degli altri campionati”.
In concreto le nuove misure entreranno in vigore a partire dalla prossima stagione e resteranno valide per almeno tre campionati, rimpiazzando la precedente “Away Supporters’ Initiative” del 2013, che lasciava ai singoli club la possibilità di introdurre misure a favore dei sostenitori, come agevolazioni sui trasporti o sconti sugli ingressi agli stadi.
Vittoria dal basso
Ma a rendere storica la decisione presa a Londra è il fatto che essa non arrivi come concessione dall’alto, ma rappresenti al contrario l’esito vittorioso di una lunga campagna lanciata dai supporter.
L’iniziativa più recente e importante si deve ai fan del Liverpool, che lo scorso 10 febbraio, durante la gara contro il Sunderland, hanno abbandonato in massa gli spalti dell’Anfield Road a quindici minuti dal termine per contestare l’aumento dei prezzi dei biglietti previsto per la stagione 2016/17. La protesta ha spinto i proprietari del club, gli americani della Fenway Sports Group, a fare marcia indietro e a presentare le proprie scuse ai tifosi “per i disagi creati”. Negli stessi giorni, i sostenitori dell’Arsenal, che devono far i conti con i biglietti più costosi dell’intera Premier League, avevano scritto una lettera aperta all’amministratore delegato del club, Ivan Gazidis, chiedendo un “congelamento” dei prezzi fino al 2019 e tariffe di favore per i giovani tra i 18 e i 21 anni.
Ma un ruolo fondamentale è stato giocato in questi anni dalla Football Supporters’ Federation, organizzazione trasversale del tifo inglese, che nel 2013 ha lanciato la campagna “Twenty’s Plenty for AwayTickets” proprio al fine di promuovere la presenza dei tifosi in trasferta, come elemento essenziale dello spettacolo calcistico. Sebbene il tetto stabilito dalla Premier resti sensibilmente più alto di quello chiesto dai tifosi (20 sterline), a detta della FSF rappresenta comunque un primo passo nella giusta direzione. Come ha dichiarato il presidente dell’organizzazione Kevin Miles a Sky News Sport“ si tratta senza dubbio di una data da celebrare, anche se resta ancora molta strada da fare”.
Una crepa nel modello inglese
La trattativa sui biglietti rientra nell’ambito di un dibattito più ampio che da tempo è in corso nel Regno Unito attorno allo sport più popolare. Dalla nascita della Premier League, nel 1992, il calcio inglese ha fatto enormi passi avanti, soprattutto dal punto di vista dello sfruttamento commerciale, attirando investimenti copiosi dall’estero e un’audience realmente globale. A dimostrarlo c’è l’ultimo accordo per la vendita dei diritti televisivi nazionali e internazionali, che nel prossimo triennio garantirà ai club della Premier quasi dieci miliardi di euro.
Per altro verso, il cosiddetto “modello inglese” si sta rivelando incompatibile con la dimensione di passatempo popolare del calcio, come dimostrano le proteste dei tifosi. Anche il premier britannico David Cameron ha voluto esprimere tutta la propria preoccupazione in occasione della recente protesta all’Anfield:“Se alcune squadre e alcuni club alzano i prezzi molto rapidamente ogni anno, nonostante gran parte del denaro arrivi loro in realtà da sponsorizzazioni o altre fonti, allora vuol dire che abbiamo un problema”.
La Premier League non ha certo problemi di sostenibilità, potendo contare su introiti nemmeno concepibili dagli altri campionati e di cui gli incassi al botteghino rappresentano una voce minore (solo il 25 per cento nel bilancio del Manchester United, il club inglese col maggiore fatturato). Il prezzo dei biglietti degli stadi, aumentato costantemente negli ultimi anni, non trova perciò ragione in questioni di bilancio, ma solo in un diverso modello di business, fatto non solo di impianti confortevoli e sempre esauriti (media di riempimento prossima al 99 per cento nella stagione 2013/14, contro il 55 per cento della serie A), ma anche di biglietti e abbonamenti dai prezzi salatissimi. Per capire la “anomalia” inglese, basta fare un confronto tra il costo dei ticket nel Regno Unito e quello delle altre top league europee. Come testimoniato da uno studio del Guardian, la Premier è quella in cui il costo medio del biglietto più economico è maggiore: per entrare in uno stadio inglese ci vogliono in media circa 28 sterline, mentre in Spagna ne bastano 24, in Italia 15 e in Germania (che pure ha stadi moderni e spesso all’altezza di quelli britannici) solo 10.
Rispetto a tale scenario, l’introduzione di un tetto per i biglietti delle trasferte ha un valore più che simbolico, e apre una crepa nel celebrato modello inglese.
@carlomariamiele