Una scultura dedicata al leader democratico ucciso nel 2003 sorgerà nel centro di Belgrado. Accanto potrebbe trovare posto una statua di Slobodan Milosevic. Una coesistenza improbabile, che riassume lo stato della memoria collettiva. E l’idea della Serbia cara al nuovo vozhd Vucic
Belgrado – Una freccia protesa verso il cielo, a indicare al popolo la direzione e il suo unico limite. E’ questo il progetto di installazione artistica che il comune di Belgrado dedicherà a Zoran Djindjic, il premier serbo assassinato quindici anni fa.
La scultura, frutto del lavoro di un team di artisti serbi, verrà posizionata nei pressi della facoltà di filosofia, quella che frequentava Djindjic, nella centralissima Piazza degli Studenti (Studentski Trg), che verrà presto rinnovata.
La “freccia di Zoran” andrà a far compagnia ad alcuni illustri personaggi del passato serbo, meritevoli di un monumento nel cuore di Belgrado, tra cui il letterato Dositej Obradovic e il geografo Jovan Cvijic. E forse, a loro, si aggiungerà presto anche Slobodan Milosevic.
Già, l’ex presidente morto nel 2006 nel carcere dell’Aja potrebbe avere un suo busto in Piazza degli Studenti. O almeno, questa è la volontà di un’iniziativa di alcuni cittadini di Pozarevac, la città natale di “Slobo”, sostenuta dal partito socialista. I radicali del criminale di guerra Vojislav Seselj vorrebbero addirittura rinominare la piazza in suo onore. Sarebbe la beffa della storia, considerato che gli studenti furono tra i primi oppositori del regime e che Milosevic rispose mandando loro i carro armati.
Quella che a Belgrado sta andando avanti da qualche mese è una vera e propria battaglia di monumenti. Che altro non è se non il riflesso della mancanza di una memoria collettiva. Già, perché ricordare, in Serbia, non è mai cosa facile, in particolare se si parla degli anni novanta, che ancora oggi dividono la società.
«Slobodan è stato il primo presidente democraticamente eletto, dopo è stato rieletto e questo già lo qualifica come statista degno di memoria. Le sue conquiste maggiori sono Dayton e la Republika Srpska ed è stato un combattente per la libertà che si è battuto per tutti i serbi» ha affermato Milutin Mrkonjic, presidente emerito del partito socialista che fu di Milosevic.
Mrkonjic non è che il portavoce di quel processo di riabilitazione politica di colui che – seguendo questa interpretazione – con la firma degli Accordi di Dayton del 1995, fu garante della pace in Bosnia e nei Balcani e che “morì da innocente”, in attesa del verdetto del tribunale speciale per i crimini in ex Jugoslavia.
Un’interpretazione che si traduce in eroismo e martirio. Due caratteristiche sufficienti per glorificare la memoria di un uomo la cui carriera politica iniziò con la dissoluzione della Jugoslavia, nel nome della “Grande Serbia”, e terminò con la rivoluzione del 5 ottobre 2000, che pose fine al suo regime.
Eppure, di monumenti che ricordano ai serbi l’eredità lasciata da Milosevic ne esistono già.
«I migliori monumenti a Milosevic sono l’attuale presidente serbo, il ministro degli Esteri Ivica Dacic, così come la fossa comune di Batajnica [dove vennero rinvenuti i resti di oltre 700 albanesi del Kosovo, nda]» afferma l’attivista serbo per i diritti umani Milos Ciric.
Il commento di Ciric si riferisce all’odierno sistema politico e sociale serbo che ricorda, proprio come un monumento, gli infausti anni novanta. Non solo perché i politici sono di fatto rimasti gli stessi – a partire dal presidente Aleksandar Vucic, che fu ministro dell’Informazione del regime di Milosevic – ma soprattutto per i meccanismi che regolano la vita pubblica serba, dove la maggior parte dei media sono allineati al governo e l’opposizione ha scarsissime opportunità di dialogo.
Ma cosa ricorderebbe Belgrado erigendo i monumenti a Djindjic e a Milosevic?
«Djindjic è il simbolo di una Serbia moderna e riformista, slanciata verso il ventunesimo secolo, mentre Milosevic è la personificazione degli sporchi e bellicosi anni ’90, in cui i nemici politici venivano ammazzati. Belgrado non deve dimenticare i risultati, o meglio le conseguenze, di quelle politiche. Da un lato abbiamo avuto una speranza ritrovata, che ci è sembrato mettesse fine a un periodo buio, nonché la visione di una Serbia migliore, che purtroppo si è interrotta con la liquidazione del suo creatore. Dalla parte opposta, un decennio di guerre, sanzioni, attacchi politici, iperinflazioni, omicidi, cittadini regolarmente picchiati, code infinite per pane e latte, la mancanza di beni, stipendi da tre marchi, cittadini affamati e una disperazione e un dolore diffusi. E questo la Serbia non può dimenticarlo. Un monumento a Milosevic sarebbe un monumento a tutto questo», dice a eastwest.eu Zoran Zivkovic, ex vecchia guardia del Partito Democratico che nel 2003 assunse l’incarico di primo ministro, dopo l’assassinio di Djindjic.
Non stupisce dunque il manicheismo della memoria nazionale serba, che oggi si ripropone nel progetto di due monumenti tra loro ideologicamente incompatibili. Perché Djindjic si oppose a Milosevic, succedendogli e avviando il Paese verso un nuovo corso, interrotto solo dalle pallottole che il 12 marzo 2003 lo ferirono a morte.
Quel che stupisce, invece, è che a voler ricordare il leader dei Democratici sia il governo del partito progressista di Vucic. Lui che, undici anni fa, si oppose attivamente alla rinomina di un boulevard di Novi Beograd alla memoria di Djindjic, sostituendo la sua insegna con una dedicata al criminale di guerra Ratko Mladic.
Perché tuttavia, oggi, questa improbabile coesistenza tra monumenti – sia che vedano la luce, sia che restino solo un progetto – è l’immagine che meglio descrive Vucic e la sua idea di Serbia, che reincarna le politiche dei due leader del passato: democratica, ma senza alcuna opposizione; europeista, ma sempre vicina alla Russia; e riformista, ma guidata da un solo uomo.
@Gio_Fruscione
Una scultura dedicata al leader democratico ucciso nel 2003 sorgerà nel centro di Belgrado. Accanto potrebbe trovare posto una statua di Slobodan Milosevic. Una coesistenza improbabile, che riassume lo stato della memoria collettiva. E l’idea della Serbia cara al nuovo vozhd Vucic