Dopo Cina, Giappone e Stati Uniti, anche la Corea del Sud entra nella partita. Nello scorso week end la Cina ha annunciato la creazione di una zona di identificazione di difesa aerea nei pressi delle isole contese con il Giappone. La mossa ha chiamato in causa gli Stati Uniti che hanno reagito facendo sorvolare l’area da due bombardieri B52. La Cina ha sminuito l’evento, ma come riposta ha mandato nei pressi delle isole la propria portaerei Liaoning. E oggi anche Corea del Sud e Giappone, hanno violato l’area di difesa cinese, mandando proprie flotte aeree nella zona. Secondo Tokyo non vi è stata alcuna risposta «straordinaria» da parte della Cina. Rimane l’accerchiamento americano nell’area, con il chiaro intento di colpire la Cina. Pechino risponde – legittimamente – a suo modo, dando vita ad una situazione in cui il rischio di «incidente» diventa sempre più alto.
Innanzitutto cosa significa istituire una zona di identificazione di difesa aerea? La Cina l’ha istituita per la prima volta nella sua storia, ma è bene fare notare che almeno venti Stati ne hanno una simile (tra questi Usa, Corea del Sud, Giappone, Indonesia, Filippine e Taiwan, tutti attori coinvolti in questa vicenda). Queste zone di difesa hanno lo scopo di stabilire delle condizioni all’ingresso nel proprio territorio. Chiaramente la zona decisa dalla Cina è un atto provocatorio, perché ha finito per comprendere anche una porzione d’aria che già è inserita nella zona di difesa aerea giapponese. Inoltre secondo gli esperti militari, prevederebbe l’obbligo di avviso anche per quegli aerei che dovessero lambire parallelamente la zona: significa che anche un aereo che non entra nell’area, ma che ci passa accanto, dovrebbe chiedere il permesso a Pechino.
Ci si chiede quindi, specie a fronte della tiepida risposta di Pechino alla provocazione dei bombardieri Usa, cosa voglia ottenere Xi Jinping da questa mossa (gesto che conferma la vicinanza di Xi agli ambienti militari, fattore che viene letto positivamente, perché renderebbe i militari impossibilitati a colpi di testa o di mano), inoltre sembra indicare la volontà cinese di aumentare i voli nella zona, a ribadire la propria sovranità sulle isole contese (disabitate, ma potenzialmente ricche di risorse).

Potrebbe anche significare la necessità di soddisfare quelle frange nazionaliste che pesano nella valutazione dell’opinione pubblica da parte del partito, così come la possibilità di «contare» tutti i voli giapponesi in quello che ha dichiarato suo territorio, denunciando quindi Tokyo e le sue ingerenze. Sul web cinese, a seguito dei voli dei B52 americani, si sono levate molte voci critiche con il governo: i cinesi on line più nazionalisti, avrebbero voluto una risposta ben più forte di quella emessa dal ministero degli esteri di Pechino.
Infine va considerata la presenza statunitense nell’area: tra basi militari e accordi commerciali la strategia diplomatica ha ormai puntato sull’Asia. Naturale dunque che la Cina reagisca ad una presenza americana sempre più forte in quello che appare ormai uno scacchiere complicato – quello del Pacifico – e potenzialmente in grado di scatenare nuovi scontri, per ora solo diplomatici.
Dopo Cina, Giappone e Stati Uniti, anche la Corea del Sud entra nella partita. Nello scorso week end la Cina ha annunciato la creazione di una zona di identificazione di difesa aerea nei pressi delle isole contese con il Giappone. La mossa ha chiamato in causa gli Stati Uniti che hanno reagito facendo sorvolare l’area da due bombardieri B52. La Cina ha sminuito l’evento, ma come riposta ha mandato nei pressi delle isole la propria portaerei Liaoning. E oggi anche Corea del Sud e Giappone, hanno violato l’area di difesa cinese, mandando proprie flotte aeree nella zona. Secondo Tokyo non vi è stata alcuna risposta «straordinaria» da parte della Cina. Rimane l’accerchiamento americano nell’area, con il chiaro intento di colpire la Cina. Pechino risponde – legittimamente – a suo modo, dando vita ad una situazione in cui il rischio di «incidente» diventa sempre più alto.